
Incontri inusuali nelle fogne sotto casa in questo racconto di Ambra Stancampiano, terzo classificato nella 122° Edizione di Minuti Contati con Stefano Paparozzi come guest star.
Buio.
La torcia mi tradisce come una vecchia amante, di quelle che sanno bene come e quando farti del male.
La luce mi abbandona proprio mentre quella cosa mi guarda fisso, ansimando nuvolette pestilenziali. Ho appena il tempo di rendermi conto che, in piedi, è alta quasi quanto la galleria in cui mi trovo. Nessuna via di fuga.
Sento tentacoli freddi di nervosismo colarmi dalla schiena e unirsi all’umore malsano che mi risale umido dalle ginocchia. L’acqua fetida mi arriva fin lì. Indago mentalmente l’intera superficie dei miei polpacci per ricordare eventuali ferite: se non muoio adesso, potrei morire più tardi per le infezioni.
Intorno a me percepisco uno sciaguattìo che non mi piace affatto, ma qualsiasi rumore nel buio diventa inquietante. I nostri occhi viziati dall’elettricità non concepiscono la totale assenza di luce, l’impossibilità di controllare l’ambiente ci manda nel panico. Chissà se gli antichi erano meno complessati o se ci vedevano meglio al buio. Ecco, un altro un rumore terrificante, acuto, poi un tonfo e uno sciacquettìo prolungato, sempre più vicino.
La mia schiena ha un tremito, fisso il punto in cui mi pare ci fossero gli occhi del mostro mentre mi sento toccare da mille zampette umidicce. Mi dico che è tutta suggestione, ma sono nelle fognature di fronte a un topo alto due metri.
Sapevo che era una cazzata. Che volevo, il trofeo per il padre dell’anno?
Lo sciacquettìo si avvicina ancora. Intravedo un lucore verdastro avanzare nell’acqua. La pallina verde mi si piazza di fronte, frapponendosi tra me e la bestia; riesco a intuire di nuovo i contorni del gigantesco topo, immobile. La lucina mi guarda, fa un versetto stridulo, poi mi viene incontro e mi si struscia sul polpaccio come se fossimo vecchi amici.
«Fritz!»
È il topino che ho comprato a mia figlia il mese scorso e che è scappato stamattina, trasformando lei in una fontanella mocciolosa e urlante e sua madre in una iena irritabile e violenta. È lo stronzo che ho seguito fin qui. Non so perché sia fluorescente, ma giuro che se riesco a uscire di qui lo appendo al soffitto per la coda.
«Vieni qui, pezzo di…»
Lo afferro. Lui si dimena, squittisce come un matto; il mostro emette un verso basso, simile a un ringhio. Sento l’acqua muoverglisi intorno.
«No, no topino… bravo topino…»
Accarezzo Fritz sulla testa, lui resta un secondo a osservarmi, poi si gira e nuoticchia verso la bestia.
Il topino fluorescente arriva dal topo gigantesco emettendo dei versetti acuti, lei abbassa la testa e lo accoglie con una musata premurosa.
I due confabulano un po’ con versetti e squittii che mi sembrano un vero e proprio discorso, ma sono certo di essermi fottuto il cervello con le esalazioni della fogna.
La madre si scansa, Fritz torna verso di me, mi colpisce le ginocchia con testatine insistenti.
Mi muovo verso l’uscita, preceduto dal topino luminoso.
La madre ci guarda mentre la oltrepassiamo, esita, poi ci segue. Forse vuole venire a casa con noi.
Chissà come la prenderà mia moglie.