
Passo con la lingua gli angoli della bocca, lecco sapore di torroncino misto a caffè e inquinato dal fumo di sigaretta.
I sapori si legano in modo sorprendente come mai mi sarei aspettata. Lo rifaccio traendone grande soddisfazione mentre i pensieri spaziano liberi oltre la ringhiera del poggiolo. Ho sempre bisogno di prospettiva quando fumo, come un inuit, guai a mettere ostacoli nella visuale. E mi stordisco, ma di proposito. È quello che mi aiuta a dimenticare, a sorvolare.
Sono maestra in questo.
Non sempre e non oggi. In giornate come questa è come se fossi priva di pelle, tutto mi arriva addosso, si intrufola nella coscienza e scava senza pietà. Niente mi separa da quello che è successo, il passato mi torna nella pancia come il peso di un feto che sento ancora a ogni passo.
«È tutto molto semplice, meno di un anno e ti ritroverai con il futuro assicurato.» La voce della donna mi sfiora appena.
Ho mille dubbi e mi chiedo cosa ci faccio in questa clinica di periferia ad aspettare di essere inseminata da un uomo che non conosco. Di che colore ha gli occhi? Il sangue di suo figlio si mescolerà al mio, è sangue buono, è una brava persona?
Non troppo, mi pare di capire, lascia tutto in mano a lei.
La moglie è come percorsa da un fremito, è persuasiva, non mi molla con lo sguardo, teme che cambi idea all’ ultimo minuto e torni indietro da dove sono venuta.
E io non posso farlo.
Mi hanno scelta per i capelli biondi e gli occhi azzurri, il fisico slanciato e l’ottimo risultato degli esami preliminari.
Neanche fossi ariana. Anche al compagno di mia madre piacevano gli occhi azzurri, i suoi invece, neri, sono usciti dalle orbite quando il mio ginocchio gli è arrivato tra le gambe senza preavviso.
Non lo so ancora ma sono i mesi più belli della mia vita, e sono un soffio. I suoi movimenti un dondolare lento quando sono in piedi e una partita a pallone quando mi stendo. La pancia una dolce abitudine: come farò a rimanere in piedi senza il suo peso, dove andrà a finire il mio baricentro?
È ora.
Il dolore non lo sento, mi chiudo a riccio per rallentare gli spasmi e mi rimproverano, devo spingere.
Il dolore non lo sento, sento lui che preme, che piano se ne va da me, che cerca la luce dove io non sono.
E anche adesso quando mi pare di rimanere senza luce chiudo gli occhi e ripenso alla sua pelle, pochi istanti per sfiorarla, era liscia sulla schiena cicciotta, morbida, umida, mia.
La sigaretta me la fuma il vento, la cenere rotola lontano.
Per poco è stata mia quella pelle e da sotto le dita non se ne andrà mai.