La svolta

Le radiazioni cosmiche mi fanno rizzare i capelli, ho una voglia matta di starnutire per via della polvere di corpi celesti, e la coda di fotoveicoli di fronte a me non accenna a muoversi.
Tipico.
Otto eoni per concepire e adattarsi al viaggio spaziale materiale, cinque per realizzare una rete di gestione del traffico sensata e tre di onorato servizio del sottoscritto come incubatore, e non riusciamo a far scorrere una maledettissima coda.
Il cantiere per il nuovo buco nero è fermo a inghiottire tutto quello che gli capita a tiro, a due passi dal mio fotoveicolo. Avrà consumato già abbastanza risorse da costruire una piccola galassia: te lo aspetteresti capace di reggere il nostro passaggio, ormai!
Sputo fuori dal finestrino, più per rabbia che per necessità; resto a guardare la saliva che percorre la Creazione, ghiacciata dalla temperatura esterna, e si perde nei pressi di una piccola stella giallastra. Un sistema, anzi, con tutti i suoi piccoli geoidi a vorticarci dentro: l’ennesimo laboratorio artistico dei Piani Alti per la sperimentazione formale. S’occupassero un po’ più di infrastrutture e un po’ meno dei loro pianetucoli, io non sarei nemmeno in fila.
Che poi, uno non può neanche goderseli: giganti gassosi, asteroidi, satelliti butterati e adorabili planetoidi – tutti in zona protetta, nessuno visitabile.
Non che ci lascino tante guardie.
Anzi, in questo mi pare di non vedere proprio nessuno.
Non dovrei neanche pensarci, a usarlo come scorciatoia. Dovrei tirare dritto, farmi la coda come tutti gli altri, uscire dallo spaziotempo regolare, consegnare i semi e tornarmene a casa in tempo – se va bene – per farmi un’era o due di sonno.
Oppure, penso, senza riuscire a staccare lo sguardo dal sistema. Oppure
Mi stacco dalla fila con discrezione. Tengo al minimo i motori della capsula di luce – nessun problema: ci faccio lo slalom tra le stelle, al minimo, con gli occhi chiusi se mi va.
Nessuno sembra avermi notato. Oppure, a nessuno importa.
Raccolgo i semi dal sedile posteriore, per tenerli d’occhio: piccole meraviglie di carbonio e potenzialità inespresse, quasi-vita raccolta e preparata a mano. Luccicano già, al bagliore della stella a cui mi sto avvicinando. Fuori dallo spaziotempo, brilleranno mille volte di più della luce di questo universo. Una balia ne curerà la crescita, un severo tutore li addestrerà a essere divinità consapevoli e responsabili, e una funzione verrà loro assegnata dai Piani Alti – Incubatore, se hanno sfiga: turni da incubo uno dopo l’altro, da passare quasi tutti immersi nella materia – bella, eh, ma a un certo punto uno vuole tornare a – Ehi!
Oh, no. Gli anelli del pianeta mi hanno confuso la rotta, scosso il veicolo, e – conto i semi – cavolo, ne manca uno: schizzato fuori dalla capsula, senza alcun dubbio. Eccolo lì, infatti, tutto disperso sul terzo pianeta dalla stella, ancora umidiccio del mio sputo di prima, tra l’altro. Porca di quella…
Guarda là, tutta quella scintilla divina buttata via in robaccia materiale. E mi si fotta se non sta già venendo su della vita organica, da questo casino.
Niente da fare: devo chiamare in sede, denunciare l’incidente, inghiottire l’orgoglio insieme a una sanzione da capogiro e bruciare io il pianeta. Umiliazione e pure sfacchinata.
Oppure, mi dico mentre controllo che nessuno mi abbia visto e riavvio il motore.
Oppure