
L’auto imboccò la rampa. Carmen socchiuse gli occhi feriti dai neon e si aggrappò alla maniglia della portiera.
Manuel ridacchiò. «Nervosa, mamma?»
Lei scosse il capo e sorrise. Era dalla morte di Renato che non se ne andava in giro in macchina. Men che meno in un centro commerciale alle nove di sera. Manuel aveva parlato di una sorpresa, ma ancora non era riuscita a immaginarsi di cosa potesse trattarsi. Conoscendo quel matto di suo figlio, doveva essere qualcosa di strano.
«Ma che sorpresa è?» gli chiese.
«Vedrai, ma’. Vedrai.»
«Ma per cosa? Mica è il mio compleanno.»
Raggiunsero il parcheggio al terzo piano interrato. Carmen si chinò temendo che il soffitto fosse troppo basso.
«Perché ti voglio bene.» disse Manuel. Sembrava divertito.
«Ma posso stare tranquilla?»
«Per quello l’ho fatto, mamma.»
L’auto si fermò e scesero. Non c’era nessuno.
«Per di qua» disse Manuel indicando una porta tagliafuoco.
«Eh no, caro. Io prendo l’ascensore» disse Carmen, ma Manuel la prese per mano.
«Ma che ascensore, mamma! Non andiamo mica per negozi.»
«E dove?»
Manuel spinse la porta. Un corridoio stretto e ruvido li inghiottì. Carmen sentì il cuore accelerare: mai avrebbe seguito qualcun altro in un posto simile.
Arrivarono davanti a un’altra porta: “Locale tecnico”.
«Fermo, fermo!» si liberò della stretta del figlio e prese fiato. «Dove cazzarola mi vuoi portare?»
Manuel rise. Tirò su col naso e la guardò compiaciuto. «Mamma, ho venduto la nuda proprietà dell’appartamento.»
Carmen strabuzzò gli occhi. «Mio?!»
«Beh, papà l’ha lasciato a me. Ma non ti preoccupare. Coi soldi ho comprato… anzi, ho affittato a tempo indeterminato questo.»
Manuel aprì la porta e accese la luce. Una camera angusta, odore di chiuso e umido. C’era una poltrona e, di fronte, un mobiletto con un vecchio televisore e un videoregistratore. Un freezer industriale ronzava lì di fianco e diversi quadri elettrici erano coperti con poster di paesaggi e cagnolini.
Carmen fece un passo dentro mentre il ragazzo annuiva compiaciuto guardandosi attorno.
«Ma cos’è?»
Contro il muro di fianco alla porta c’erano quattro boccioni d’acqua e sopra era appesa una foto di Renato.
«Questo è il nostro bunker, mammina.»
«Cosa?»
«Aviano è a cento chilometri da qui.»
«Embè?»
«E lì gli americani tengono i missili. Putin, la prima cosa che bombarda è dove gli Usa tengono i missili. Qui siamo tre piani sottoterra.»
«Ma ti sei venduto casa mia per questo buco! Ma cosa sei, scemo?»
«Mamma, casa tua non esisterà più, mentre noi saremo tra i pochissimi superstiti. Forse gli unici, qui attorno.»
«E cosa facciamo, viviamo qui dentro in due?»
«Abbiamo duecento litri d’acqua, cibo per un mese e due secchi separati.»
«Secchi… Ma chi ti ha venduto ‘sta cantina?»
«Locale tecnico. Non è che me l’ha venduto, non è mica suo.»
«Ma chi?»
«Tipo l’addetto. Abbiamo un accordo.»
«Addetto a cosa? E quanto gli hai dato?»
Manuel sorrise e si buttò in poltrona. «I soldi non varranno più niente. Domani portiamo qua le tue videocassette e il ricamo. Staremo benissimo.»
Carmen si guardò ancora attorno e notò, nell’angolo, il pacco di carta igienica posato a terra tra due secchi da bucato. Scoppiò a piangere. Come aveva fatto a crescere un figlio tanto scriteriato?
«E per questo, ma’. Non sopporto che piangi. Ora non dovrai più avere paura.»
Sentì il braccio del figlio sulle spalle e pianse più forte.