
Rombo di motori come un cuore che batte. Adrenalina e nos pompati nelle vene. Io e la Delta siamo una cosa sola. Una bestia di cromo e carne che divora la pista. Stringo il volante e curvo: siamo all’ultimo giro del Daytona Armagheddon, i duecento metri in cui si decide tutto.
Guardo nello specchietto. Bestemmio: la camaro di Pat Mendoza si allarga per superare. Vuole tentare lo stacco che non è riuscito per tutta la gara.
«Col cazzo!» sterzo di nuovo e gli chiudo la scia. Approfitta della curva per provarci ancora: stavolta la mia risposta è più lenta e riesce a guadagnare spazio. Siamo affiancati.
Si avvicina il Golgotha, la curva stretta subito prima del traguardo. Se la prendo larga, Mendoza mi supererà, ma se la prendo stretta…
Stringo il volante e mordo le labbra fino a sanguinare, poi premo l’acceleratore fino in fondo. Urlo fino a quando il mio ruggito non si unisce a quello della Delta.
Non accetteremo un secondo posto.
La palla di fuoco esplode sulla pista e si alza fino al cielo. Il bagliore di benzina e protossido d’azoto che s’incendiano. Nella loro luce, il giudice di gara intravede appena l’ombra delle lamiere delle auto. Un rumore: qualcosa è atterrato sull’asfalto. Qualcosa scagliato via dall’impatto dell’incidente.
La testa semicarbonizzata rotola a terra per qualche metro, poi si ferma.
«È Duke Williams, della Delta-Nuke» fa l’assistente di gara, indicando i simboli sul casco. Il giudice annuisce.
«Ha superato il traguardo. Dici che è valida per la vittoria?»