Vai all’inferno

Secondo classificato nella Livio Gambarini Edition, 146° All Time, un racconto di Riccardo Rossi.

 
«Se scendo dal letto con il piede sinistro. Se non salto gli ultimi due gradini prima dell’atrio. Se ripeto un gesto più volte e il numero non è un multiplo di cinque.»
«Un gesto…?»
«Grattarmi. Sbattere le palpebre. Ravviarmi i capelli – così, vede? Cinque volte. O dieci. O quindici. Capisce.»
«Se può aiutarti, non sei solo. Un uomo sentiva di dover risvoltare due volte tutti i pantaloni, altrimenti una creatura avrebbe rapito la sua famiglia. Una signora, insegnante, era certa che, se non avesse chiuso porte e finestre in uno specifico ordine, il sole non sarebbe mai più sorto. Se lo sentiva nel sangue.»
«Descritti così, sembrano matti.»
«È un’idea comune, e tragicamente sbagliata, che le persone credano in qualcosa a un solo livello. La professoressa conosceva l’origine delle sue compulsioni, così come l’uomo del risvolto. Possiamo essere consapevoli dell’infondatezza di una convinzione, senza saperla abbandonare. Conosco materialisti che si lanciano sempre un pizzico di sale dietro la spalla sinistra, contro streghe e spiriti maligni a cui non credono. Capisci cosa intendo?»
«Sì. Credo.»
«Non c’entra quanto tu sia intelligente, o razionale. C’entrano i labirinti che la mente, qualunque mente, elabora per affrontare il mondo. A volte la strada è bloccata, o contorta, e dobbiamo lavorare d’ingegno per arrivare dove vogliamo.»
«Edificante.»
«Suona stantio, senza dubbio, ma è accurato.»
«Non ero sarcastico, dottore. L’idea di una scorciatoia mi conforta.»
«Attenzione, però: non ho parlato di scorciatoie. Il lavoro è lungo e faticoso. In un certo senso, però, cominceremo proprio con qualche trucco, per gestire compulsioni e pensieri intrusivi quando si presentano. Voglio solo esplorare la… Mitologia, prima.»
«Mitologia.»
«La spiegazione della paura, dell’ansia. La storia, il μύθος, che il disturbo ti racconta per darsi senso.»
«L’inferno.»
«Esatto, l’inferno. Piuttosto comune, a dire il vero. Vuoi un po’ di tè?»
«Grazie.»
«L’inferno, o un diavolo di qualche tipo.»
«Oh, c’è un diavolo, per me. Eccome.»
«Puoi parlarmene – se ti va.»
«È un incubo. Un demone molestatore, cioè, non un brutto sogno. Si siede sul petto di una vittima addormentata e le ruba il fiato, la tocca, fa di peggio. Ha capito.»
«Ne ho sentito parlare. È una di tante leggende per cui è interessante cercare spiegazioni razionali. Per gli incubi si parla sempre di sogni erotici o paralisi ipnagogica – oltre che, di tanto in tanto, di tattiche per allontanare sospetti d’adulterio.»
«C’è altro, però. Nelle leggende. Piccole curiosità oscene.»
«Per esempio?»
«La sterilità. Non possono fare figli tra di loro. È uno dei motivi per cui fanno quello che fanno. In forma femminile prendono il seme di un uomo. Lo conservano dentro. Poi cercano una donna in cui… Ha capito. Da ingravidare.»
«Un po’ grottesco. Ecco il tè, lascialo riposare per un paio di minuti. Vuoi zucchero?»
«Un cucchiaino solo.»
«Ma certo. Grottesco, dicevo, ma non inaudito. Il folklore è pieno di creature che sfruttano l’umanità per procreare, in qualche modo: pensa alle fate, ai changeling.»
«Cambion, avevo letto. Il figlio di una donna messa incinta da un incubo si chiama cambion. È un po’ come quelli lì delle fate: strano, cioè. Mi scusi, dottore.»
«Va tutto bene?»
«È un argomento che mi prende sempre troppo. Mi distrae. Ha notato, per caso, mi scusi, quante volte ho girato il cucchiaino?»
«Cinque, ne sono quasi certo.»
«Quasi certo. Mi scusi. Davvero.»
«Non sei qui per scusarti del tuo disturbo, ma per affrontarlo. Dicevi, dei cambion?»
«Che sono strani. Hanno qualcosa di, non so, sbagliato. Come se gli fosse rimasto un pezzo d’inferno dentro.»
«Ti senti mai così?»
«Cinque, ha detto. Non quattro?»
«Ti senti a disagio? Possiamo fare una pausa. Confesso, anch’io sto un po’…»
«Mi spiace, dottore. Credo fossero quattro.»
«Parliamo della paura di – senti anche tu questo rumore? – di essere trascinato giù, all’inferno, a cui accennavi al telefono. La tragedia che le tue compulsioni, la tua disciplina, scongiurano.»
«Ha frainteso, dottore.»
«Cosa?»
«Non riguarda me. La paura. Se sbaglio, non tirano giù me.»
«Si è fatto più buio, qui dentro?»
«Sono mortificato, dottore. Non accadeva da mesi. Per favore…»
«Si è fatto più…?»
«Quando vede mio padre, laggiù, gli chieda di smettere.»