
Settimo classificato nella Scilla Bonfiglioli Edition, 147° All Time, un racconto di Danilo Riccio.
La macchina procede lungo la strada deserta, nelle campagne. L’oscurità è sempre più fitta, lo stereo vomita un rock denso e pesante almeno quanto la nebbia che avvolge il veicolo. Spina comincia a pentirsi di essersi fatto prima di guidare; Stefy dorme come una bambina, se il crepitio del basso che frigge le casse non riesce a svegliarla, niente potrà riuscirci.
Merda, son veramente troppo bollito. Alla prima occasione devo fermare la macchina, pisciare e farmi un paio d’ore di sonno per farmela scendere. Cristo, va che roba, pare di stare in un cazzo di film dell’orrore.
Non fa in tempo a concludere il pensiero che qualcosa viene colpito dalla macchina, volando oltre il parabrezza.
«Che cazzo è stato?!» L’urlo di Stefy, risorta dal regno di Morfeo.
«Abbiam tirato sotto un cane. O un ciclista. Ti prego, dimmi che non è un cane, Stef.»
I due escono dalla vettura. Il silenzio spettrale della nebbia è rotto solo da un lieve mugolio.
Stefy prende il cellulare e accende la torcia, imitata da Spina.
I due pallidi fasci di luce trovano una striscia di liquido scuro per terra che conduce a una massa accartocciata al suolo. Piuttosto piccola, sembra davvero un cane.
«Merda, è vivo?»
«Senti, sfigato cagasotto, se credi che ci vada io a controllare cosa TU hai investito, ti sbagli di grosso. Dovevi proprio fartelo quell’ultimo acido dopo il festival, vero, coglione?»
«E piantala di rompere, mammina, vado io, va bene!»
Spina raccoglie il coraggio a due mani e si avvicina alla sagoma.
Una coda.
Quattro zampe.
Pelliccia.
OH CAZZO, OH CAZZO HO UCCISO UN CANE.
Una cresta ossea, lungo la colonna vertebrale.
Piccole corna ricurve.
Zoccoli.
Un volto umanoide.
Ed è ancora vivo. Due occhi neri come l’inferno si posano su Spina. Dal buco dentato che sta poco più sotto escono un pigolio e uno spruzzo di sangue.
OK. OK, stai calmo, Spina, stai calm…
L’urlo di terrore del ragazzo riecheggia nella notte.
Stefy accorre al suo fianco.
«Oh mio dio… è… è… è incredibile!» Squittisce di gioia, come una bambina a Natale.
«Ma non capisci, Spina? È un demone! Uno VERO! Non le cazzate che Barbara dice di evocare con i suoi rituali da baraccone, questo è reale, in carne e ossa! Ed è mio!»
«Che vuol dire che è tuo?»
«Mentre eri a fumare peyote ho incontrato una tizia, abbiamo fatto un rito di evocazione. Credevo che volesse provarci con me, anche perché in effetti ricordo che abbiamo scopato, ma a quanto pare diceva la verità!»
Un altro rantolo dell’essere la riporta alla realtà.
«Spina, aiutami, dobbiamo portarlo in macchina, posso curarlo.»
Spina la fissa come se le fosse spuntata una seconda testa dal corpo.
«Ma sei impazzita, donna? Io quel coso nella mia macchina non ce lo metto, fosse pure Belzebù in persona. Tu e le tue stronzate da strega, Stefy! Che cazzo ce ne facciamo di ‘sta bestiaccia? E comunque mi spiace, mi sa che te l’ho ammazzato. Siamo in mezzo al niente, dove vuoi portarlo? Al massimo posso dargli una badilata in testa e sopprimerlo. E poi lo seppelliamo, se vuoi.»
Da sotto alla frangetta nera di Stefy, Spina vede bruciare due tizzoni di rabbia pura.
«Sentimi bene, stronzo. Io ho fatto un rito per evocare questa creatura, capisci, fattone del cazzo? La tizia ha detto che avrei dovuto dare la cosa che conta di più al mondo per me per averlo, e quindi esigo il mio demone! Lo esigo! Quindi aiutami, brutto scemo, prima che ti prenda a cazzotti.»
Raccolgono il corpo del mostriciattolo, ricoprendosi del suo sangue nerastro, lo portano alla macchina; Stefy canticchia per calmare la bestia, che stride di dolore.
«Nella macchina farà un casino, un casino ti dico.»
Lo schiaffo di Stefy è così forte che perfino l’essere mostruoso ammutolisce.
È l’ultima goccia.
L’urlo belluino di Spina è terrificante.
Sbatte la testa di Stefy contro il lunotto posteriore, più volte.
Quando torna in sé, Spina vede che il mostro sta divorando il cervello di Stefy attraverso la scatola cranica sfondata. Sembra più sano.
Gli occhi del ragazzo e della bestia si incontrano.
«Sai, era una vera stronza, credeva di essere la cosa più importante del mondo. Mi insultava, mi menava e per quanto riguarda le corna, ti batto per numero e dimensioni. Era un mostro. Come tutte le altre che ho avuto. Beh, se vuoi s’è liberato un posto sul sedile davanti.»