
Finalista nella 149° Edizione di Minuti Contati con il Team di Specularia come guest stars, un racconto di Debora Dolci.
I giardini di Versailles sono oltre le finestre ad arco, sembrano interessanti, c’è anche un trenino. Ma noi siamo nella galleria piena di gente che fotografa i lampadari di cristallo.
«Che meraviglia!» Mamma si fa largo fra una coppia di asiatici e una di anziani col cappello. «Luigi XIV fece costruire la galleria degli specchi al posto di una grande terrazza.» Ruota verso di noi e la sua gonna la segue allargandosi.
Sorride, è il segnale per una lunga spiegazione. «Era il Re Sole e voleva che questo luogo fosse un monumento alla luce.»
«Doveva essere proprio uno simpatico.» Schivo un tizio a naso in su che cerca di riprendere con il telefono i dipinti: un puzzle di figure volanti che ci fissano dall’alto.
Papà ridacchia e mi strizza la spalla. «Avanti Michy, vedrai che ti piacerà, ma attento a non sparire.»
Sospiro, ci staremo tantissimo. Mamma prende papà sotto braccio e mi tende la mano. «Vieni a vedere.»
Mi arrendo e la seguo fino alla parete opposta al giardino. Ancora cristalli, stavolta sono in cima a un piedistallo retto da tre bambinetti grassi e dorati.
Gli specchi ci sono davvero, quadrati di vetro che riempiono tutti gli archi. E riflettono noi tre insieme, con i bermuda e le maniche corte, fra i gruppetti di persone. Dietro i giardini sembrano vicinissimi. «Forte» mormoro.
Mamma allarga le braccia. «La galleria è lunga più di settanta metri e comunica con l’appartamento del re, anche allora ci passava moltissima gente.» Solleva una mano verso l’alto. «Lassù sono raffigurate le vittorie di Luigi XIV…»
Papà la tiene ancora per mano e sono spalla a spalla. Stanno così in pace che io potrei anche sparire un attimo.
Faccio due boccacce a me stesso e mostro la lingua. Scivolo di lato e sfuggo alla voce della mamma. Supero un’anfora rossa e il busto di un qualche romano. Ancora un poco e sarò scampato alla lezione di storia dell’arte.
La galleria è lunghissima: specchi e colonne rosse e statue moltiplicati due volte. Procedo a passi laterali come i gamberi, attraverso il riflesso ammicco a un signore in pantaloncini rosso pomodoro. Ridicolo!
Ancora un passo, il rumore diminuisce un po’. Dagli specchi spariscono le persone, resta solo il giardino. Qui è più fresco e i lampadari brillano per le candele. Saranno migliaia e oscillano ripetute sulle superfici. «Forte.»
Mi trovo davanti un ragazzino. Ha una giacchetta azzurra con un grosso spillone d’argento e un ridicolo colletto di pizzo. Sorride solo con le labbra, tiene in mano un frustino.
Mette un dito davanti alla bocca e io chiudo la mia.
È in piedi accanto al mio riflesso, vicinissimo. Le candele oscillano e anche i lampadari, la penombra si fa più spessa. Ora è freddo. Boccheggio.
Il cuore mi salta nelle orecchie e contro i polsi, sono immobile. È lì, è reale e fa ancora cenno con la mano.
Si mette una mano sul petto e punta il dito contro di me.
«Vuoi… vuoi che venga lì?»
Un altro movimento con il mento.
«Ma posso farlo?» Ho sempre freddo. È buio e ci sono solo le candele. Perché è buio? C’era il sole e faceva caldo…
Scuoto la testa. «Non posso venire nello specchio, io non posso.» Stringo i pugni. C’è un brusio alle mie spalle, ma sono bloccato.
Il bambino vibra il frustino verso la sua sinistra. C’è una porta alta e sottile, scura. Deglutisco.
Potremmo correre tra gli specchi. Sempre…
Mia madre compare nello specchio. «Michelangelo!»
Mi giro e strizzo gli occhi. Papà sta facendo una foto a una famiglia, mamma ha le braccia conserte. «Michy, sai che non ti devi allontanare! Mi hai fatto spaventare!»
Il bambino è svanito. Sono sudato, la luce del sole allaga la galleria. «Le candele… sui lampadari non ci sono più…»
«Quali candele?»
Papà ci raggiunge, la famigliola lo saluta con dei “grazie” dall’accento tedesco. Lo abbraccio e schiaccio il naso contro la sua pancia.
«Tesoro, che succede?» Mamma mi prende per le spalle, mi passa una mano sul viso.
«Non voglio sparire, mamma!»
Lei mi stringe e mi dà un bacio sulla testa. «Va bene, sei perdonato!»
Papà mi dà un colpetto sulla spalla. «Andiamo, ci sono ancora i giardini da vedere!»
Annuisco, mi metto fra di loro. Attraversiamo un’anticamera. Da un quadro un bambino con una giacchetta azzurra e un frustino sotto braccio ci spia.
«Mi dispiace» sussurro ed esco nel sole.