Oltre gli arcobaleni

Quinto classificato nella 149° Edizione di Minuti Contati con il Team di Specularia come guest stars, un racconto di Matteo Mantoani.

 
Jan si lasciò cadere sul sedile e prese un respiro profondo. Controllò l’orologio da polso e si sfregò le mani intirizzite dal freddo. Sorrise, per la mezz’ora a seguire la postazione panoramica sarebbe stata tutta sua.
Alzò lo sguardo a osservare il cielo smeraldino. Il respiro gli si spezzò alla vista dei sette arcobaleni concentrici, così grandi da occupare tutto l’orizzonte. Il più alto arrivava persino a toccare lo zenit.
Guardò l’orologio, c’era ancora parecchio tempo. Contemplò le luci colorate: solo su Titano l’atmosfera pregna di goccioline di idrocarburi permetteva uno spettacolo simile. Il Sole era fioco, lontano, e i dischi degli anelli di Saturno spesso oscuravano il cielo, ma gli arcobaleni avevano sempre dei colori così potenti da non invidiare nulla a quelli della Terra. Anzi.
Fissò ancora l’orologio, le lancette correvano troppo veloci: mancava poco, poi il crepuscolo avrebbe lasciato spazio alle stelle, e allora sì che il cielo sarebbe stato favoloso. Il turno durerà abbastanza?
Al rumore dell’esplosione si coprì la testa e rise: un geyser, poco lontano, sparava in aria goccioline di gas condensato. Gli idrocarburi cristallizzati si libravano a creare una struttura ramificata, che si decomponeva a poco a poco. Jan si guardò attorno: decine di alberi ghiacciati spuntavano dal suolo turbolento, i loro rami si espandevano e si frammentavano sempre di più, fino a quando non rimaneva che una nuvoletta color zaffiro.
Jan scosse la testa e sorrise. Che pianeta stupendo! Ogni centimetro era uno spettacolo da scoprire; e quanto era ricco! I coloni accorrevano per estrarre i preziosi gas e portarli sulla Terra. Alzò lo sguardo: centinaia di scie al plasma, lasciate dai motori delle navi, attraversavano gli arcobaleni. Erano come lumachine che strisciavano con coraggio nella miniera del cosmo. Jan si portò una mano al cuore. Coraggio ragazzi!
Si voltò: la sagoma del pianeta inanellato stava a poco a poco coprendo il lumicino solare. Man mano che Titano entrava nella zona d’ombra di Saturno, il cielo diventava via via più scuro: lo spettacolo più bello stava per iniziare.
Si alzò in piedi, le ginocchia gli tremavano, aveva il fiato corto. Il momento per cui aveva pagato così tanti soldi era arrivato.
Tra gli arcobaleni, ormai evanescenti, le stelle luccicavano incastonate nelle fasce colorate, come piccoli diamanti. Una stella molto grossa brillava più delle altre, la sua luce celeste colpiva dritta al cuore: era la Terra, che lanciava il suo saluto ai coloni di Titano. Jan si tolse il berretto e contemplò rapito la luce del pianeta azzurro.
«Quanto sei lontana, casa mia.»
Una lacrima gli rigò la guancia.
Un trillo della sirena, l’altoparlante gracchiò. «Turno terminato, lasciare il salone!»
Le stelle si sgranarono ed esplosero in una raffica di pixel. Il cielo notturno si illuminò, si fece lucido e riflettente.
Jan scrollò le spalle e si portò l’orologio agli occhi. Sospirò: il tempo era scaduto. Fissò il suo riflesso sulle pareti a specchio della sala ologrammi. Il suo viso paffuto, solcato da una barba grigia incolta, occupava lo spazio dove prima brillavano le stelle diamantine.
Strinse i denti, abbassò lo sguardo, raccolse la stampella e si incamminò verso l’uscita del teatro olografico. Calde lacrime gli bagnavano le guance. Aveva sperato di vivere abbastanza per vedere il genere umano visitare altri mondi, e quel momento era arrivato. I più giovani partivano, lasciavano tutto ed entravano nei libri di storia.
Quanto a lui, gli dicevano che il suo cuore non poteva reggere l’accelerazione dei viaggi interplanetari e che l’assistenza medica ordinaria non era prevista, nelle colonie minerarie.
Se solo avesse avuto quarant’anni e quaranta chili in meno, allora sì che sarebbe partito con loro!
Si asciugò gli occhi. Lo slogan Osserva la Terra Dalle Colonie Su Mondi Lontani, lampeggiava sullo sfondo di un paesaggio alieno.
Almeno, per quanto fosse frustrante e costoso, gli era permesso di sognare ancora.
Come aveva fatto per tutta la vita.