
«Abbiamo concordato per tre minuti.» Afferro le mani di Remo e le porto all’altezza degli occhi. I tagli sulle nocche si stanno rimarginando bene. «Don Elardo insisteva con cinque, al che gli faccio – col dovuto rispetto, sia chiaro: “tre o non se ne fa nulla”. Ho dovuto sudare, eh, ma alla fine l’ho spuntata.»
Mi piego sul borsone. Il dolore alla base della schiena non mi dà tregua. Non mi sono ancora guardato allo specchio; spero che stavolta i lividi non si gonfino sotto la cintura, altrimenti vedrò i sorci verdi per tutta la settimana.
Tiro la zip della tasca centrale. La cerniera si apre quel tanto che basta per infilarci la mano e prendere le fasciature, prima d’incepparsi. Srotolo i bendaggi e li appoggio sulla spalla.
Inizio dalla destra, come sempre. Infilo l’asola nel pollice di Remo, quindi tre giri attorno al polso seguiti da altrettanti sulle nocche. Passo alle dita, stando attento a invertire il verso della benda a ogni giro.
«Hai capito che ho detto? Devi resistere solo tre minuti. Passati quelli, fai un po’ quel cazzo che ti pare. Ma mi stai ascoltando?»
Mollo una scoppola sulla tempia di Remo. Per risposta ricevo un grugnito. A volte mi chiedo se a ridurlo così sono state le botte o ci è nato. Spero la seconda; mi sentirei l’animo più leggero.
Finisco di stringere le bande sull’altra mano e gli dò una pacca sulle spalle. Quello, come se lo avessi appena svegliato, si alza e fa per uscire.
«Cazzo fai?»
Si ferma.
«Hai dimenticato quel poco di buone maniere imparate da quella cagna di tua madre? Vieni qua, idiota.» Si avvicina. Mi spingo sulla punta dei piedi e gli prendo la testa tra le mani per abbassarla contro la mia fronte. «Tre minuti, mi raccomando, che sennò quelli ci fottono con un coltello su per il culo.»
Remo grugnisce. Usciamo.
Accompagno Remo lungo il corridoio che taglia il lato sud delle gradinate. A ogni suo passo, sbuffi di polvere si sollevano da terra.
Qualcuno ci nota, la folla esplode.
Gli spalti sono affollati da idioti convinti di tornare a casa con le tasche piene, come se non sapessero come funzionano le cose da queste parti. Se il mio ragazzo decide di non fare il coglione, domani lo porto da Aldo a mangiare pesce.
Giunti al centro dell’arena fingo di controllargli le bende. «Niente cazzate, intesi?»
Lascio Remo e mi defilo sulla panca riservata agli accompagnatori. Sulle gradinate gli allibratori segnano le ultime scommesse. Sposto lo sguardo verso il palchetto sulla cima. Don Elardo mi saluta sollevando il borsalino. Ricambio con un cenno del capo. Il pensiero di non ritrovarlo attaccato al collo l’indomani mi strappa un sorriso, ma lo ritiro subito per paura che venga mal interpretato.
La campana annuncia la chiusura delle giocate. Don Elardo si alza in piedi e traccia in aria il segno della croce per benedire l’incontro, oltre che per ricordare a tutti chi è il padrone di casa.
La grata sul lato nord inizia a sollevarsi. Dall’interno della gabbia, nascosta sotto le gradinate, giunge un rumore di catene e ringhi sommessi.
Ficco la mano sotto la giacca e tiro fuori il cronometro. La folla rumoreggia, fino a quando dal buio emerge un mastino grande quanto una scrofa. Faccio partire il tempo.
Il cane si mette a girare attorno a Remo, le zanne bene in vista. Bravo cucciolo, non avere fretta.
Remo lo fissa nelle palle degli occhi. Non ha paura, ma non per coraggio. La sua è soltanto stupidità.
Il mastino prende infatti il gesto per una provocazione e si lancia all’attacco. Con una falcata attraversa l’arena e si avventa sulla coscia di Remo.
Una smorfia di dolore deforma il suo volto. Ti prego, figliolo, non reagire; non ancora. E lui non lo fa.
Sopporta, in silenzio, fino a quando gli è possibile. Fino a quando il suo pugno non si abbatte sul cranio della bestia.
L’animale molla la presa e crolla a terra in preda alle convulsioni.
Abbasso lo sguardo sul cronometro. Resisti, bastardo! La lancetta dei secondi ha appena finito il secondo giro, che quello invece decide di crepare.
La mano che tiene il cronometro trema. Alzo lo sguardo. Don Elardo dice qualcosa a uno dei suoi, che subito si allontana.
Al centro dell’arena Remo tiene i pugni sollevati in aria, felice. Sento gli occhi riempirsi di lacrime, eppure, senza capirne la ragione, scoppio a ridere.