
Finalmente ci siamo. Non mi piace stare troppo a giro in queste occasioni, ho sempre il terrore che ci sia qualcuno che ci segue. Succede che incontri un amico o un conoscente e la frittata è fatta.
Parcheggio al solito posto. Carino qua, lo abbiamo scelto perché è atipico come agriturismo. Credo che fosse una villa appartenente a una famosa famiglia nobile del luogo.
Quella casina in mezzo al verde, adibita a reception, circondata dalle decine di appartamenti a schiera, era probabilmente la residenza del giardiniere o dello stalliere. O che ne so.
Lei ancora non c’è. Sono almeno sei settimane che non la vedo. Da quando Marta mi ha beccato quel messaggio è cominciato l’inferno. Non posso permettermi di far cazzate.
Guardo il Ferrari e un brivido mi percorre la schiena. Questa vita mi appartiene ormai e non posso giocarmela per una scopata. Sono diventato quello che sono grazie alla mia abilità. Nessuno sa far cadere una donna nella rete come me.
Si innamorano e mi affidano l’azienda del paparino. Sono un mago.
Ma che fa questo imbecille? Non mi fa entrare?
«Buongiorno Sig. Lenzi. La ragazza si fa attendere eh?».
Mi guardo intorno e lo stomaco si stringe.
«Ma chi le dà tutta questa confidenza?» l’espressione mortificata si fa spazio su quella faccia a culo, che non sorride più «Piuttosto mi dia la chiave e speri che non ci sia di nuovo quella vecchia scema con quel cane pulcioso».
Il deficiente si avvicina, senza guardarmi.
«Mi perdoni ma non riesco a prevedere le mosse della contessa. Vi ho assegnato il Pavone, di solito non va da quelle parti».
Le sue parole mi rilassano. Lo so che è una vecchia scema che vaga per l’agriturismo ma a me ha sempre fatto paura. Ha lo sguardo di chi vuol farti male solo per il gusto di vederti strisciare.
«La smetta di chiamarla contessa. Una vecchia scema, anche se era la figlia di chissà quale esimio esponente della nobiltà fiorentina, sempre scema rimane. Vi prende tutti per il culo. Io al posto vostro l’avrei già sbattuta fuori».
Non risponde, l’inetto.
«Piuttosto fai accompagnare la ragazza da uno dei tuoi cinegri, appena arriva». Mi allontano assaporando lo sguardo pieno di invidia, quando mi si para davanti uno di quei filippini che si occupano del giardino.
«Signole, lagazza già in camela. Solplesa pel lei» mi fissa, serio «pelò tu fatto allabbiale contessa».
Ma che cavolo sta dicendo?
Mi aspetta dentro?
Affretto il passo e la immagino completamente nuda che mi aspetta sul letto.
Presto la avrò tutta per me.
Quasi mi trovo a correre e, senza curarmi dell’ombra che mi passa sulla destra, spalanco la porta.
L’odore acre mi investe subito.
Scivolo e, mentre mi riprendo a fatica, la vedo. Debora è sul letto, coperta di sangue, gli occhi spalancati.
«Non devi mai trattare male le persone con problemi alla testa, bambino mio. Buon viaggio all’inferno».
La pazza è sulla soglia e mi guarda con quegli occhi semi spenti. Sorride e mi saluta con la mano, poi se ne va e chiude la porta a chiave.
«Aiuto! L’ha uccisa. L’ho preso! Aiuto!».