
Azrael si inchinò. Non quanto avrebbe voluto: i denti di quel dannato licantropo avevano scavato più a fondo di quanto aveva creduto. Si strinse il fianco con la mano.
Il vescovo Salazar aveva l’aria contrariata. «È vero quello che mi hanno riferito?»
Gli mancava il fiato, e non era solo per via del dolore, nemmeno per la punizione che gli avrebbero inflitto. Sentiva di averlo tradito, comunque deluso, e il vescovo era tutto ciò che aveva. «Non so cosa vi abbiano riferito, signore.»
Gli indicò la poltrona davanti alla scrivania.
Azrael scosse appena la testa, l’avrebbe macchiata di sangue. «Preferisco di no, signore.»
«Gli uomini della tua squadra hanno dovuto rincorrere quegli abomini per tutta la campagna, hanno rischiato di venire scoperti.» Picchiò col pugno sul legno e fece cadere un vecchio candelabro. «Dicono che li hai lasciati fuggire!»
Come dirglielo?
Tirò fuori il volantino che aveva trovato in casa degli abomini. La mano destra era piena di sangue, se la pulì sui calzoni e aprì il foglietto ripiegato.
«Che cos’è quella roba?» Il vescovo indicò il volantino, il viso spigoloso si contrasse in una smorfia di disgusto.
Era una locandina amatoriale, raffigurava uno scrigno e un cappello da pirata. “Grande caccia al tesoro del gruppo Scout Agesci”, più in basso, con un carattere allegro la scritta “Gesù ama anche te”.
«E allora?»
Il fianco gli faceva un male d’inferno e gli girava la testa. Intavolare un discorso con il suo mentore sembrava impossibile, ma avrebbe dovuto provarci. «I bambini che vivevano in quella ca―»
Il vescovo scattò in piedi. «Non sono bambini! Sono demoni non ancora cresciuti.»
Azrael raccolse un po’ di saliva e ingoiò. «Comunque sarebbero andati a quella caccia al tesoro, come dei bambini veri.»
«Per corromperli e cercare delle vittime.» Si sedette e sfiorò l’interfono. «Miro, entra.»
Azrael non aveva mai tenuto testa al vescovo, mai contestato un ordine, nemmeno aveva mai pensato di farlo, ma a uccidere quei bambini non c’era proprio riuscito. Per quanto si sforzasse, per quanto si allenasse e pregasse, non aveva mai avuto la forza d’animo per renderlo orgoglioso. «Signore, lo so ma… Lì c’è scritto “Gesù ama anche te” e se fosse vero?»
«Azrael non bestemmiare.»
«Ma…»
Lo zittì sollevando la destra. «Lo so che per te è difficile. Il male striscia dentro di te, ne sei tu stesso espressione.» Allargò il braccio per accoglierlo.
Azrael si avvicinò e cadde in ginocchio, lasciò che il vescovo gli accarezzasse la testa.
«Vidi una speranza quando ti ho salvato. Ho pensato che potessi servire la causa e forse mi sono dannato per questo.»
Ad Azrael facevano male gli occhi e le gote bruciavano. Strinse la mano sul fianco cercando nel dolore la forza per non piangere. Aveva deluso l’uomo che lo aveva risparmiato, quello che gli stava dando la possibilità di avere un’anima, prima o poi.
«Devi resistere, figliolo. La tentazione è più forte per te, perché ne sei parte. Ma ti giuro che quando avrai liberato il mondo dai demoni, potrai purificarti.»
Miro entrò dalla porta di servizio, anche lui aveva ancora indosso l’uniforme, e anche la sua era sporca di sangue. «Mi avete chiamato?»
«Il mio figlioccio è pentito. Avrebbe potuto mettere in pericolo altri Crociati.» Tolse la mano dal capo di Azrael e aprì un cassetto. Ne estrasse un sigillo. «Azrael non sbaglierà di nuovo.» Accese una candela e ce lo poggiò sopra. «Questo è il simbolo di Raphael, l’angelo della guarigione, che guarisca anche il tuo spirito lacerato.»
Miro si guardò intorno con aria spaesata, mentre Azrael lasciò cadere la giacca a terra. Sapeva cosa sarebbe accaduto. Un memento per ogni errore, un simbolo angelico per ogni volta che aveva tentennato, che aveva ceduto al suo lato malvagio e corrotto e aveva risparmiato un abominio. Strinse i denti per togliere la maglia senza urlare. La ferita al fianco non aveva smesso di pulsare nemmeno per un secondo, ma sollevare le braccia la fece bruciare.
«Cosa… cosa state facendo?» Miro fece un passo indietro e mise le mani avanti. «Oh Dio, ma che cos’hai sulla schiena?»
La voce del vescovo era calma finalmente, porse il sigillo a Miro. «Sei tu che lo hai visto tentennare.»
«Io non… io non posso.»
Azrael abbassò la testa. «Obbedisci.»
Miro biascicò qualcosa e affondò il sigillò con un urlo.
Il dolore esplose in tutta la schiena, raggiunse il petto e lo lasciò senza fiato. Cadde a terra, non riusciva a vedere nulla.
«Mi dispiace Azrael, perdonami…»
Gli avrebbe detto di sì, e che anzi lo ringraziava, ma non riusciva a parlare.
«Hai fatto il tuo dovere, Miro. Ora vai, e manda qui Saverio, Azrael ha bisogno di cure.»
La porta si aprì e si chiuse.
«Sei stato bravo, figliolo. Ora ripeti con me, cosa siete?»
Le parole gli raschiavano la gola e sembrava avesse un nido di calabroni sulla schiena. «Demoni, signore.»
«E cosa ti salverà dalla corruzione?»
I calabroni erano diventati scorpioni. «Sterminarli.»
Si chinò su di lui e gli fece una carezza. «Abbiamo scovato una famiglia di mutaforma, questa volta non deludermi.»