
Il cancello del cimitero è socchiuso. Le ante sono di metallo nero, con teschi mezzo arrugginiti agganciati a metà altezza.
– Aspettami qui. Cercherò di non metterci troppo.
– Sicura che non vuoi che ti accompagni?
Mi volto. Matteo si stringe nel cappotto. Un soffio di brezza autunnale fa cigolare la porta, ma il battito dei suoi denti è più forte.
Gli accarezzo la guancia.
– Sono sicura. È una cosa che devo fare da sola.
– Ma perché?
– Ho tanto da dirgli. Cose di cui avrei voluto chiedergli scusa, cose per cui avrei voluto che lui mi chiedesse scusa… – Alzo le spalle. – quello che si dice di solito davanti a una tomba, immagino.
Lui mi afferra la mano e la accarezza.
– Potrei tenerti compagnia. Sai, caso mai ti sentissi sola e…
Un soffio di vento gli strappa un brivido.
Sorrido: sembra un cucciolo in inverno.
– Va in macchina o ti verrà l’influenza. Me la caverò.
Lui sospira. Sorride e mi bacia in fronte.
Mi assicuro che rientri in macchina ed entro nel cimitero.
Il custode mi ha detto che papà è sepolto accanto al grande cipresso al centro del complesso, ma non è facile orientarsi in questo labirinto.
Grandi tombe di famiglia si alternano a sepolture singole. Sepolcri di marmo, con statue di angeli e bambini piangenti sono stati sistemati accanto a lapidi su cui non riesco leggere il nome. Poco importa: muffa e ruggine stanno divorando ogni cosa e le tombe più elaborate sono quelle più colpite dall’incuria
Oltrepasso una fila di mausolei e mi trovo davanti un tristo mietitore con falce e clessidra. A differenza delle altre sculture, questa è intatta in ogni dettaglio. La lama della falce sembra pronta per la mietitura e la sabbia nella metà superiore della clessidra sta per esaurirsi.
Il teschio mi scruta dall’alto in basso con un ghigno che mi suscita un brivido lungo la schiena.
Mi affretto a lasciarmelo alle spalle: il cipresso è poco più avanti.
La tomba è sotto i suoi rami. Una semplice lapide di marmo grigio.
-
Leonardo Nesilen
Attore
11/02/1926 – 28/11/2010
“Qui emetto il fatal respiro”
Sopra la scritta, un paio di occhiali Groucho Marx in bronzo.
Mi mordo le labbra.
– Pagliaccio fino alla fine, eh pa’? Mamma lo diceva che avresti continuato a fare battute anche da morto.
L’unica risposta è il vento che fischia tra i rami. Sospiro.
– Scusami. So che era il tuo modo di volermi bene, ma avevo bisogno di supporto, non di umorismo.
Di fronte alla tomba c’è una panchina di pietra. Mi siedo.
– Per questo me ne sono andata via: volevo essere presa sul serio per una volta. Volevo…
Prooot!
Sento le guance avvampare.
Suono e provenienza sono inequivocabili, ma non sono stata io. Mi inginocchio accanto alla panchina, notando una rientranza sotto il sedile di pietra. Al suo interno è nascosto una sorta di microfono. Appoggio una mano sulla panchina e spingo verso il basso: il rumore si ripete.
Un petofono? Mio padre ha fatto sistemare un petofono davanti alla sua tomba?
Alzo lo sguardo. Sulla rientranza del c’è una piccola scritta, invisibile dall’alto.
-
“Qui il fatal respiro lo hai emesso tu”
Mi alzo in piedi e mi guardo attorno.
Tombe consumate. Statue mangiate dalla muffa. Giardini e viali abbandonati al degrado. E in tutto questo, mio padre ha voluto che nella sua tomba ci fosse uno scherzo da bambini.
Mi cade lo sguardo sulla statua del mietitore. Non avevo notato quando fosse sgraziata. Le braccia sono troppo lunghe e la piega delle gambe sotto il saio è innaturale. Da questa prospettiva, sembra un equilibrista che stia cercando di mantenersi in piedi su uno spazio troppo piccolo.
Scoppio a ridere. Rido fino farmi uscire lacrime dagli occhi. Rido tirando fuori tutto quello che avevo dentro.
Mi asciugo gli occhi e torno a sedermi sulla lapide. Il rumore del petofono non mi sembra più così anomalo.
– Ti ho detto che ho un nuovo fidanzato? Si chiama Matteo. Lo adoreresti: pensa che ride persino alle mie di battute.