Raccolta differenziata

“Lidia alzati, è mezzogiorno, non puoi continuare a stare in questo letto”.
“Non ce la faccio, mamma”.
“Non dire sciocchezze, non ce la faccio io a vederti così”.
“Lasciami stare”.
“Il mondo non è finito”.
“Tu non capisci mamma”.
“Io capisco fin troppo bene, ci sono passata. Un pianto e si ricomincia. E invece no, sei qui accartocciata come un foglio nel cestino. Dov’è il tuo nerbo? Sei proprio come tuo padre”.
“Lascia stare papà!”.
“Solo perché è morto? Non era cattivo, era solo un debole. Avanti vestiti, sono giorni non ti cambi. Esci, c’è il sole”.
“Mamma, non posso?”.
“Esci Lidia, non metti piede fuori di casa da settimane, due passi non ti faranno male. Guardati allo specchio, sembri un fantasma”.
“Dai mamma”.
“Scendi giù a portare la spazzatura, almeno vedrai un raggio di sole”.
“No”.
“Ti lascio qui il sacchetto”.
“Ma mamma, no vicino al letto, che schifo!”.
Lidia si girò nel letto più volte, si mise il cuscino sopra la testa, si coprì con il lenzuolo e infine si alzò. Quando arrivò ai bidoni esterni, un uomo stava rovistando nella spazzatura. Si mosse per andarsene quando l’uomo si girò verso di lei.
“Che c’è, che guardi, non hai niente di meglio da fare?”.
“Mi scusi, non volevo, torno dopo”.
“No dai vieni, dammi quel sacchetto che te lo butto. Che brutta cera, malata?”.
“No”.
“Triste? Ti ha lasciato il ragazzo?”.
“No”.
“Guarda, uno spartito, non mi capita spesso di trovarne. Oh anche una lettera, magari d’amore”.
“Non può leggerla, sono cose private”.
“Se una cosa viene buttata diventa di tutti. Vediamo che dicono: la vita non ha più senso, Marco mi manchi, non lasciarmi, bla bla bla. Tutte uguali, una barba”.
“Non è vero, i sentimenti sono importanti”.
“I sentimenti sono sopravvalutati, la libertà è importante, non avere limiti e confini, non sapere che succederà domani, questo è importante, Dai dimmi che c’è”.
“Ma non ha freddo? ha una giacca talmente leggera”.
“Sai com’è, ho dimenticato di passare dalla boutique stamattina”.
“Prenda la mia sciarpa, io ne ho altre”.
“Non accetto elemosine, in cambio ti regalerò una poesia. Sai, in un’altra vita ero un poeta”.
“E poi?”.
“E poi la vita ha deciso diversamente. Avvicinati, te la sussurrerò all’orecchio, le parole sono leggere possono scappare via”.

“E’ bellissima!”.
“Grazie”.
“Nell’armadio è rimasto un cappotto di mio padre, glielo porto. Aspetti qui”.
Lidia sparì nell’androne e dopo pochi minuti tornò con un cappotto color cammello piuttosto largo, che porse all’uomo.
“Se torna domani, le porterò qualche altro capo. Il suo armadio è ancora pieno di vestiti”.
Lidia passò il pomeriggio piegando e scartando abiti, così indaffarata che la madre la disturbò appena. Alla sera la trovò davanti alla tela.
“Dipingi?”
“Disegno”.
“Era tanto tempo, Lidia”.
“Mi hanno detto una bellissima poesia oggi mamma”.
“Me la dici?”
“Non posso, è un segreto”.
Lidia tornò molte mattine a parlare con l’uomo e altrettante lo ritrasse finché una mattina lui le chiese:
“Com’è morto tuo padre Lidia?”
“Suicida. Aveva un macigno sul cuore e io gli avevo chiesto di darmene un po’, ho cominciato a portarlo per lui, ma non è bastato. Si è arrotolato su se stesso un giorno dopo l’altro finché si è arreso e il macigno è rimasto con me”.
“E poi?”.
“La tua poesia l’ha sciolto”.
“E ora?”,
“Ora non so”.
“Ti dirò un’altra poesia se vuoi, ma con parole talmente leggere che potresti volare via anche tu”.
“Dimmela allora”.
Quella mattina sporgendosi dalla finestra la madre di Lidia vide due puntini salire lentamente verso il cielo e sparire. Pensò che uno dei due aveva un’aria vagamente familiare.