
L’altra mattina mi sono svegliato e mi sono accorto che non riuscivo più a mettere a fuoco il suo volto. Mi ricordavo tutti momenti passati insieme, i baci, le carezze, gli abbracci, ma il suo viso era una maschera sfocata, un garbuglio privo di lineamenti.
Sono corso ad accendere il computer, ad aprire una cartella di foto. L’ho rivista, e anche nei miei ricordi ogni dettaglio è andato al posto giusto.
Il cuore ha ricominciato a battere.
Ma la sua voce?
E il suo profumo?
Ogni giorno che passa dei frammenti di Lei scivolano via. Si perdono.
È come se morisse di nuovo, lentamente.
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Ho trovato una soluzione, anche se parziale.
Ho impiegato un intero fine settimana, due cartucce della stampante, ma adesso tutta la camera è tappezzata con le foto di Lei. Può capitare al mattino di risvegliarsi confusi, coi ricordi appannati, ma ora mi basta accendere la luce per ripristinare il suo volto in tutte le diapositive dei miei ricordi.
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Ho pensato di non limitarmi alla camera. Perché non portare il suo viso in ogni stanza di questa casa? Non può che farmi bene, da quando Lei non c’è più è tutto più silenzioso, più freddo, più grigio. Le sue foto regalano colore. In corridoio, in cucina, in salotto. Ovunque, Lei mi guarda e mi sorride.
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Non invito più nessuno a casa, credo che i miei amici non capirebbero questa cosa delle foto, e io non ho voglia di perdere tempo a spiegarlo. Forse da certe cose ci devi passare per poterle capire.
Non esco nemmeno più molto, giusto per lavorare e per fare un poco di spesa quando il frigo piange e supplica.
Gli altri continuano a chiamarmi per invitarmi a bere qualcosa, prima inventavo delle scuse, ora semplicemente evito di rispondere. È più pratico.
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Sto pensando di lasciare il lavoro. Non ho grosse spese all’orizzonte e ho messo qualcosina da parte, quanto basta ad andare avanti per un po’.
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Le foto non funzionano più tanto bene, la vista si appanna e le vedo confuse. Forse dovrei alzarmi dal letto, guardarle da vicino, ma sono davvero molto stanco.
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La morte arriva più caotica di quanto pensassi, fa rumore di colpi, fratture e urla. Credevo somigliasse di più a una quiete profonda. Anche gli angeli -o, chissà, forse i diavoli- non ci vanno leggeri nell’afferrarmi, scuotermi, sollevarmi.
Poco importa, presto sarò da Lei.
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Le forze mi stanno tornando pian piano, e, di pari passo, anche la lucidità. Riconosco le persone, metto a fuoco i visi e le espressioni, gli odori e i suoni.
L’infermiera che mi visita tutte le mattine ha una faccia rotonda e un sorriso brillante. Profuma di cannella e parla con voce gentile, mi chiede come mi sento, cosa mi serve. A volte mi sfiora una spalla, con delicatezza.
Mi verrebbe da dire che assomiglia tanto a Lei.
Ma la verità è che non lo so.
Il suo volto, io, non lo ricordo davvero più.