
Un visitatore le si sedette di fianco. Stella evitò di guardarlo, ma con la coda dell’occhio colse alcuni dettagli: giacca rosso sangue, corti pantaloncini avorio, un bastone di legno. Un tipo strano. Si concentrò di nuovo sul dipinto che aveva di fronte.
«Viene spesso qui?»
Si voltò. L’uomo aveva radi capelli candidi, al collo un papillon nero a righine bianche. «Prego?»
«Viene spesso in questo museo?»
«Uhm, sì» rispose Stella, con aria vaga.
L’uomo sorrise. «Anch’io. Mi siedo su questa panchina e resto a contemplare quel capolavoro.»
A disagio, Stella cambiò posizione.
«Vede la stanza rappresentata dal pittore?» Lo sconosciuto descrisse con la mano un cerchio invisibile davanti a sé. «E quelle porte? Non sono affascinanti?»
Senza volerlo, Stella fu attratta dallo sfondo occupato da tante porte aperte sempre più piccole, una dentro l’altra. «Ora che ci penso sì.»
L’uomo sospirò. «C’è un punto là in fondo che mi ha sempre inquietato. L’ho studiato per anni. Non capivo cosa fosse; mi è sempre parso sfocato, indefinito…»
Stella restò interdetta. La conversazione stava prendendo una piega inaspettata. Era tentata di andarsene, eppure si soffermò sul quadro: oltre l’ultima, minuscola porta c’era un rettangolino marrone che non aveva mai notato prima.
«… poi un giorno è emerso qualcosa» concluse lo sconosciuto.
Cosa c’era là in fondo? Si girò verso lo strambo visitatore e lo sosprese a fissarla con espressione assorta. «Perché mi guarda così? Cosa vuole da me?»
«Lei è una donna infelice.»
Ma come si permetteva? «Si sta sbagliando, non sa nulla di me.»
«Anch’io ero così.» Parve rilassarsi. Tornò a scrutare il quadro. «Un’ombra oscura si annidava dentro di me. Avevo un buon lavoro, una brava compagna, una vita serena, ma non mi bastava.»
Pensò a quanto fosse fortunata ad avere Carlo al suo fianco, alla sua brillante carriera di nutrizionista, alla vita tranquilla che conduceva. Ma…
Solo allora la riconobbe. L’ombra, una macchia fumosa senza forma.
«Sa, ho fatto ricerche sull’autore del quadro» disse l’uomo. «Ha perso un figlio, ha lottato per dieci anni con droga e alcol. Poi all’improvviso ha sviluppato il talento per la pittura e ha iniziato a dipingere per dare felicità alle persone, come per scacciare i demoni che lo hanno tormentato.»
Stella non capiva dove lo sconosciuto volesse arrivare.
«Ha visto come sono vestito?» fece lui, con enfasi eccessiva, allargando le braccia impettito.
Stella abbassò gli occhi sul suo tailleur grigio. La sua borsetta aveva una tonalità funerea.
L’uomo puntò il dito sulla tela. «Si avvicini e osservi il punto al di là delle porte. Le sarò tutto chiaro.»
Lei si guardò intorno. Non c’erano altri visitatori oltre loro due, e neanche un guardiano. «Ma è impazzito?»
L’altro scosse la testa. «Una volta ero uguale a lei. E ora… Si avvicini. Non le costa nulla. Dia un’occhiata.»
Roba da pazzi. Ci pensò su. Forse il tipo era un matto che si stava divertendo un po’ con lei, ma in fondo… Cosa mai poteva mai succedere? Perché no? Si alzò e si avvicinò piano. Fissò il rettangolino marrone. Fece un passo, poi un altro e si accorse che la forma si ingrandiva e si riempiva di colori. Sbatté le palpebre incredula ma il quadro non smetteva di dispensare la sua illusione. Giunse a pochi centimetri dalla tela e il punto in fondo alle porte diventò un mondo variopinto, pieno di sensazioni cromatiche rassicuranti, traboccante di allegria e spensieratezza.
Vide un bambino grazioso protendere le braccia verso di lei. Le donò un sorriso meraviglioso. Il cuore di Stella si colmò di calore. Per qualche istante, ogni turbamento si sciolse come neve al sole. L’intensità dei colori aumentò a dismisura fino ad amalgamarsi in una luminosità abbagliante. Stella strinse le palpebre e arretrò. Le gambe urtarono la panchina, si sedette. Riaprì gli occhi. La sala del museo era tornata alla normalità. Lo sconosciuto non c’era più.
*
Giacomo fissò il quadro. Una donna gli si sedette di fianco. Era vestita in modo bizzarro. «Viene spesso in questo museo?»