
“Ninna nanna, ninna oh/ Questa bimba a chi la do?/Ninna nanna, ninna oh/ Questa bimba a chi la do?”, ciondolo, ciondolo, piano, piano, lenta, lenta.
Sofia mi appoggia la boccuccia che sembra una pesca sul seno sinistro e con la manina me lo stringe. Non uscirà niente. Nemmeno una goccia di latte. Ha smesso di urlare. Il suo visino sprofondato nel mio petto è rosso come i mattoni tutt’intorno, quelli sotto l’intonaco. Le metto l’indice sotto il naso: respira.
“Se la do alla Befana/ Me la tiene una settimana/ Se la do al bove nero/ Me la tiene un anno intero”, ciondolo, ciondolo, piano, piano, lenta, lenta.
La voce mi esce che è un soffio, quella che era anche suono è volata via tutta, nelle grida che ho sprecato prima di sentire il pianto di Sofia. Un borbottio dal centro della Terra ed è crollato tutto: il soffitto, il pavimento. Tutto insieme. Di Giulio e mamma, neanche l’ombra. Ma Sofia è qui. Il suo viso sul mio petto. Il mio dito ad accarezzarle il respiro.
“Se la do al lupo bianco/Me la tiene tanto tanto/ Ninna nanna, nanna fate/ La mia bimba addormentate”, ciondolo, ciondolo, piano, piano, lenta, lenta.
Ha tremato tutto.
Tremava, tremava, forte, forte, veloce, veloce.
Dovevo vedere Marco. Chissà dove è Marco. La Terra che trema e si apre se lo sarà portato via? A ballare insieme agli altri nel suo nucleo infernale che ha voluto spaccare tutto. Il prof. Bianchi ci ha spiegato la tettonica delle placche in geologia. Moti convettivi, divergenti, convergenti, a scorrimento. La sapevo la lezione, ma a cosa serve adesso?
Sofia mi morde il seno. Non sono la mamma, vorrei urlarle, non so neanche dove è la mamma. Se c’è ancora, la mamma!, ma sto zitta. Mi lecco le lacrime, la polvere e il muco che mi arrivano alle labbra. Le accarezzo la guancia.
E ciondolo piano, lenta.
“Ninna nanna, ninna oh/ Questa bimba a chi la do?/ Ninna nanna, ninna oh/ Questo bimba a chi la do?”, ciondolo, ciondolo, piano, piano, lenta, lenta.
“C’è qualcuno qui?”, una voce lontana mi chiude la bocca dello stomaco. Non capisco più nemmeno se i suoni che sento sono reali o sono solo nella mia testa. Mi fermo. Voglio sentire meglio. Sofia torna a piangere. Le sue urla mi entrano nelle ossa.
“C’è qualcuno qui? Veniamo a prendervi! State tranquilli… Vi salviamo noi!”, la stessa voce di prima, ma più vicina.
“Siamo qui! Io e mia sorella siamo qui! Fate presto!”, lancio la mia voce al di là di queste travi e queste pietre, di questi pezzi di legno che prima erano arredamento, che prima erano casa. Vorrei solo crollare anche io, come è crollata la mia città. Vorrei essere una parte di queste macerie.
Sofia mi afferra l’indice con la sua mano minuscola.
Non ora. Non mollare ora, mi ripeto.
“Stai tranquilla, piccola. Arrivano a prenderci”, le sussurro. “Siamo qui! Io e mia sorella siamo vive e siamo qui!”, urlo più forte della Terra che trema forte, forte, veloce, veloce e fa crollare tutto.
E ciondolo, ciondolo, piano, piano, lenta, lenta, mentre stringo Sofia.