
«Basta un piccolo taglio, Genoveffa, un centimetro sarà sufficiente!»
«Tu sei pazza! Mai e poi mai mi taglierei le dita per calzare una stupida scarpa! E chiamami Genny, quante volte te lo devo dire!»
«Sei una fifona, cosa vuoi che sia un taglietto in confronto alla vita con un bellissimo principe? E poi guardati, davvero pensi di avere altre occasioni per trovare marito?»
«Non hai capito davvero nulla. Tagliatelo tu, il piede. Io non ho bisogno di nessun uomo, mi basto e mi avanzo da sola!»
Anastasia mi guardava come se fossi una squilibrata.
La presi per le spalle e la scrollai:
«Cos’hai di bacato in quella testolina, ti sei dimenticata nostra madre inginocchiarsi di fronte la frusta di nostro padre? E cosa pensi, che il nostro patrigno fosse migliore? Non abbiamo fatto in tempo a vederlo, ma pensaci, Anastasia, pensaci un attimo: qualcuno forse sa com’è morta la sua prima moglie? E poi, quella rincretinita di Cenerentola, che non osa neanche alzare la testa quando le parla la servitù, secondo te, come l’ha cresciuta se non a suon di bastonate?»
Anastasia si divincolò e mi voltò le spalle, affacciandosi alla finestra.
«Ma tu l’hai visto il principe azzurro? Come può un uomo così infinitamente bello e con gli occhi così incredibilmente azzurri e dolci ad essere cattivo? Non tutti gli uomini sono così come li descrivi tu! La verità è che fingi di voler star da sola perché sai che nessuno ti vorrà mai!»
«E finiscila! Non sono brutta, e neanche tu lo sei. Chi l’ha deciso che una cosa è brutta e un’altra è bella? Ci hai pensato mai? Sono sempre gli uomini a giudicare, sempre e solo loro.»
La presi per una mano e la portai allo specchio.
«Guardati Anastasia, guardati bene»
Le passai lievemente la punta dell’indice sotto gli occhi e scesi delicatamente lungo il naso, fino alle labbra.
«I tuoi occhi sono vivi e luccicanti, il tuo profilo è quello di una donna intelligente, le tue labbra incorniciano una bocca dalla quale possono uscire declamazioni, poesie, leggi.»
Le battei il dito sulla testa, più volte.
«È qua dentro la nostra forza, ed è in quella che si manifesta la nostra bellezza!»
Dopo un attimo di titubanza in cui, davvero, pensai che avesse capito, lei si scrollò nuovamente di dosso le mie mani.
Scuotendo il capo più volte uscì dalla stanza borbottando.
«Io proprio non so, Genoveffa, da dove ti vengono tutte queste sciocchezze»
«Sono Genny, maledizione, solo Genny!» risposi sconsolata.
—
Le voci del palazzo in subbuglio per l’arrivo del principe, arrivarono nitide oltre le mura della mia camera.
Poco dopo, fu madre in persona a venirmi a prendere, furiosa.
«Si può sapere che ti salta in mente, Genoveffa? Vuoi davvero far aspettare il principe?»
«Ve l’ho già detto, madre. Io NON voglio provare quella maledetta scarpetta! Tanto non mi va, è piccolissima!»
«Quante storie, potrei capire tua sorella con quei piedoni che si ritrova ma a te, accidenti, basterà piegare un po’ le dita!»
«Ma io non voglio sposarmi, con nessuno!»
«Quante idiozie!»
E mi trascinò giù.
Ciò che trovammo nel salone fece accapponare la pelle anche a me, di indole non certo delicata.
Anastasia, piangente, si teneva il piede stretto con le mani senza riuscire a fermare il sangue che sgorgava copiosamente dai moncherini delle dita.
«Me la faccia riprovare, Sua Maestà, vi prego! È solo un taglio, ma con le bende non riuscivo a calzarla…»
Nostra madre la guardò inorridita, poi tornò in sé, e prese la scarpetta di mano dal paggetto che si girò, e vomitò quasi sui piedi del principe che stava dritto come un fuso, lo sguardo inebetito.
“Un altro stupido” pensai e nello stesso istante ebbi la prontezza di scansarmi mentre mia madre mi porgeva la scarpa che colava gocce vermiglio sul pavimento.
Fu Cenerentola, giunta silenziosamente dietro di noi, che l’afferrò, si sedette a terra e velocemente la indossò.
La meraviglia lasciò tutti increduli e ammutoliti.
Ne approfittai per scappare fuori.
Cenerentola ci aveva appena reso parte della famiglia reale e io ero libera, libera come il vento.