
«Buongiorno!» la tua voce è cristallina quando ti rivolgi a me con il solito sorriso furbo che ti increspa la pelle attorno agli occhi.
Il tuo alito di menta mi fa vibrare mentre mi afferri con una risata e mi sollevi.
Fai una piroetta e a me sembra di morire. Mi piego in due, rischio di cadere, di spezzarmi, e poi ci fermiamo e mi posi di fianco al davanzale, in mezzo alle altre, nel posto che mi spetta in quanto tua prediletta.
Le finestre sono spalancate per fare entrare gli ultimi sospiri della primavera, la brezza fresca mi fa tremare.
Ritorni dalla cucina con due tazze: la tua ha un papero arrabbiato, la mia, la più piccina, è color crema con aloni scuri che sembrano cioccolato rappreso. Me la versi addosso e sento il liquido scivolarmi addosso, bagnarmi, nutrirmi.
Esci di corsa, lasciando una scia di fresco profumo, e il tuo ultimo sguardo è per me.
La tua assenza è insostenibile. Seguo il tuo incedere sul marciapiede trafficato: il tuo impermeabile verde è una macchia inconfondibile tra i colori spenti dei passanti. Le tue braccia ondeggiano come foglie e il tuo corpo si piega come un fusto snello. Un po’ ti assomiglio, forse è per questo che mi vuoi così bene.
Il resto della giornata è un’attesa paziente. Ho smesso da tempo di parlare con le altre e comunque, i loro sussurri acidi non riuscirebbero ad arrivare qua sopra.
La mia attenzione si sposta sul salotto in subbuglio: tre calici incrostati di vino rosso si innalzano come torri ubriache dal tavolino basso. Briciole di cibo segnano un percorso verso il divano, i cuscini conservano l’impronta di tre corpi che hanno riso e festeggiato fino a notte fonda.
Il sole inizia a mordermi e mi arrendo alle sue carezze.
Sento la chiave che gira nella serratura e la porta si apre, devo essermi assopita. Entri, hai il fiato corto, come se avessi corso.
Anche io avevo tanta voglia di rivederti.
Tu però non sembri prestarmi attenzione. Che cosa sta succedendo?
Ti vedo frugare nella borsa. La porta vibra una, due volte. Poi esplode.
Tu gridi, l’uomo che ti segue è furioso e ti si scaglia addosso. La tua mano esce dalla borsa tremando, spruzzando un liquido in faccia allo sconosciuto che urla e ti schiaffeggia la mano. Il getto mi prende in pieno.
Percepisco il bruciore, come una lama, come una fiamma che mi fa avvizzire. Mi ustiona, mi toglie il fiato, cola su di me, mi strappa i tessuti.
Se potessi farlo, urlerei. Urlerei insieme a te. Non ti vedo, non riesco a distrarmi dal mio dolore.
La zuffa sembra placarsi, mentre sento sciogliermi, il liquido urticante mi scorre dentro come linfa malsana.
Una lotta di grugniti, il mio tavolino ondeggia, un lieve e ritmico rumore di metallo sulle piastrelle segna la fine dello scontro.
Mi sento sollevare. Sei tu? Sei venuta a salvarmi? Sei venuta a danzare di nuovo con me?
Un sospiro di alcool e fumo mi seppellisce come cenere mentre precipito contro qualcosa di duro che si frantuma come un guscio troppo spesso, insieme al vaso che mi ha sempre accolta. La terra fugge da sotto le mie radici. Sono esposta, senza via di scampo.
Mi accascio impaurita in attesa della fine. Sfioro il profilo del tuo volto infranto. Dove ho sempre visto gioia, si è aperta una voragine di niente e di lava viscosa che mi bagna le radici. La tua linfa è calda, mi sta soffocando.
Odo il suo patetico pianto allontanarsi e strisciare disorientato fuori dall’appartamento. Dal corridoio, rumore di porte che si aprono, improperi e passi che si avvicinano a noi, ma è troppo tardi.
Il tuo alito di menta non sfiora più le mie foglie morenti.