Aaron è vivo

Aaron si sfiorò il petto al tepore del sole. Che strana sensazione, pensò. Vagò tra i ruderi ricoperti da rampicanti violacei e richiamò alcune informazioni.
Città. Le chiamavano così.
Si avvicinò a un edificio e scorse una larga apertura in un muro. Vi si introdusse, assaporando la solidità dei materiali che le sue mani toccavano. Filtravano dall’alto raggi di luce perlacea. L’ambiente era popolato di oggetti di varie dimensioni. Aaron si spostò tra di essi, in cerca di un segno tangibile del passato.
Si fermò vicino a una struttura di legno.
Adesso mi siedo.
Un manufatto cilindrico e trasparente attirò i suoi occhi. Lo afferrò per esaminarlo da vicino. So a cosa serve. Articolò quello che sapeva essere un sorriso. Con l’altra mano fece un gesto antico: versò una sostanza inesistente.
Emise una manciata di vibrazioni vocali che riecheggiarono in quel luogo perso nei millenni. «Berrò alla vostra salute!» Sollevò il bicchiere e immaginò di deglutire, poi rise.
«Vattene dal nostro pianeta!»
L’eco di una voce profonda proruppe dietro di lui.
Scese dal sedile di legno e si girò. Tre individui in carne e ossa lo scrutavano. Sembravano espressioni rancorose quelle che vibravano sui volti sozzi, solcati da oscure rughe di vecchiaia. Provò stupore. Impossibile che fosse rimasto qualcuno sulla Terra, dopo tutto quel tempo.
Mosse qualche passo verso di loro. Indossavano stracci. Avevano capelli incrostati di terra. «Chi siete?»
«Vattene dal nostro pianeta» gli ripeté il più vecchio.
«Non resterò a lungo» rispose Aaron. «Ma mi stupisce che ci sia ancora qualche umano vivo…»
«Perché sei venuto? Come hai osato?» lo sfidò il vecchio.
«Volevo capire cosa si provasse a vivere come voi, come i miei antenati» rispose lui.
«Tu non sei come noi. Non lo sarai mai» ribatté l’altro e agitò minaccioso un bastone scorticato.
«Non ha importanza ormai» concluse Aaron. «La Terra non ha più alcun valore per noi.»
Gli stranieri ammutolirono.
«Tornerò nella mia Unimatrice energetica e da lassù assisterò allo spettacolo della fine del pianeta.»
«Io ti maledico in eterno» sbraitò un altro straniero.
Il vecchio col bastone zoppicò nella sua direzione e lo fissò con disprezzo, poi gli assestò un colpo in testa. Indietreggiò ansante e fiero del gesto che aveva appena compiuto. Aaron si toccò la fronte. Rapidi impulsi sgradevoli s’irradiarono per tutto il guscio proteico che simulava un corpo umano.
Lasciò le rovine della città e si disconnesse dal simulacro. Ascese all’Anello circumpolare e si rinchiuse nell’Unimatrice. Attivò il Visore Universale e attese la distruzione della Terra. Al suo posto sarebbe nato un nuovo, scintillante cunicolo iperspaziale. Eppure non riusciva a essere elettrizzato per quel trionfo: il ricordo del dolore procuratogli dal vecchio non lo abbandonò. Forse significava qualcosa. Essere vivo davvero.
Contattò il Supremo dell’Unimatrice e gli chiese un rinvio della demolizione per motivi di ricerca.
Creò un altro simulacro dalle sembianze cadenti e andò in cerca degli uomini.