
Resistere, sempre e fino alla fine. Secondo classificato nella 122° Edizione di Minuti Contati con Stefano Paparozzi come guest star, un racconto di Maurizio Ferrero.
Le prime venute a bussare alla mia porta erano due gemelle, Elisa e Lavinia. La villa era fredda e vuota, così ho trovato conforto nella presenza di queste due giovani ragazze. Così simili nell’aspetto quanto diverse nel carattere. Elisa, forte e sfrontata, Lavinia, timida e impacciata. Eppure gli occhi di entrambe erano identici, lo sguardo di chi ha potuto osservare da vicino gli orrori della guerra. Di chi ha perso i suoi cari. I miei stessi occhi. Le ho sistemate nella stanza dei miei figli – Dio, non riesco più nemmeno a pronunciare il loro nome! – poiché sono sicura che non ne avranno a male se torneranno. Quando torneranno.
Poi ne sono arrivate altre, dopo nemmeno dieci giorni. Luigina, con i suoi bei capelli biondi. Rita, dal sorriso contagioso. Marina, di soli cinque anni. Tutte ragazze, i maschi se li è presi tutti il fronte. Quelli che non sono morti stanno ancora combattendo. Prego per loro ogni giorno.
Nel vicino paese, la mia casa ha iniziato ad acquisire la fama di improvvisato orfanotrofio per giovani donne. Efisio, il fornaio, ogni giorno ci porta il poco pane avanzato. Carolina, la sarta, ci ha procurato coperte e lenzuola, non proprio di prima mano, ma confortevoli. Tutti stanno cercando di darci una mano, ad eccezione di Don Fernando. Da che lo conosco, ha sempre preferito tenere il piede in due scarpe.
Negli ultimi giorni ne sono arrivate altre, tante altre. Fuggono dai paesi vicini. Hanno visto i loro cari radunati nelle piazze, condotti via su grossi furgoni blindati o fucilati sul posto. Ormai in casa siamo in più di venti. Delle ultime arrivate non conosco il nome, non sono state in grado di dirmelo. I loro occhi parlano chiaro.
Ogni giorno le sveglio e insieme prepariamo la colazione, rifacciamo i letti, laviamo la biancheria. Resistiamo insieme. Io non sono diversa da loro, ma devo mostrarmi forte. Ormai non hanno nessun altro, e io non ho che loro. Quelle che parlano hanno iniziato a chiamarmi Mamma Franca. Ogni volta che lo fanno, cerco di non mettermi a piangere. Non ho potuto fare nulla per i miei figli, quando l’arruolamento forzato se li è portati via, e nemmeno per mio marito, quando ha deciso di andare a combattere con la resistenza. Posso solo pregare.
Quando le bambine dormono, rimango sveglia e guardo dalla finestra. Ogni notte sento gli spari un po’ più vicini, i rombi dei motori in avvicinamento. I tedeschi avanzano sulla montagna. Ieri sono andata in paese e ho visto Don Fernando parlare con un giovane biondo. Era in borghese, ma potrei riconoscere la schiena dritta dei soldati ovunque. Il prete mi ha indicato. Sono corsa via. È questione di un paio di giorni, ormai.
Le mie figlie hanno già sofferto abbastanza, e io devo pensare a loro. Ho trovato una chiave per aprire la tubatura del gas e preparato una scatola di fiammiferi. Ogni notte, aspetto che i tedeschi arrivino a bussare alla mia porta. Le mie figlie non possono cadere nelle loro mani. Non di nuovo.
Le salverò.
Le salverò tutte.