Al Signor A piace così

La ventola sul soffitto girava e girava. Lui, il Signor A, si sdraiò supino sul lettino e la fissò, perché voleva che si fermasse. Se girava, tirava, e se tirava, l’odore andava via e tutto cambiava.
 «Andato bene il lavoro?», «Passami lo strap-on. Quello azzurro.», «Dove cazzo vai, la bottiglia è lì, apri il frigobar.»
 A masticò le labbra e sputò un chicco di sangue. «Che fate?»
 «Muto.» Le due tette parlanti gli dondolarono davanti, il rossetto attorno ai capezzoli già rossissimi. Una goccia di latte colava. Si sporse con la lingua di fuori.
 «Fermo, cazzone.» Le tette lo spinsero a terra. «Quello è un dildo di gomma, ecco cos’è. Hai rasato il culo come ti abbiamo detto noi?»
 «Certo.»
 «Oh, yeah!», «Ha le palle tutte rattrappite. Ma che è, malato?», «Vai a secco, tanto è tutto rincoglionito.», «Ma nemmeno entra così…», «Minchiate. Entra eccome.»
 Lui si girò.
 Ma due artigli d’argento lo afferrarono per i capelli. Davanti a sé, peli neri e due labbra rosa scuro, gocciolanti. «Guarda di qua. Apri la boccuccia, che arriva la tua birra preferita, manto dorato.»
 
Aprì gli occhi. La ventola girava ancora. Due di loro dormivano, l’altra direzionava l’affare di gomma verso di sé.
 «Ué, dove vai?»
 «Devo andare al bagno.»
 «È per cacare?»
 Negò. Il pene di gomma si mosse, camminò verso di lui. «Vuoi provare qualcosa di diverso? Vuoi mettermelo in culo tu?»
 «No, assolutamente no. Non deve cambiare niente.»
 «Perché?»
 «Perché io pago e—»
 
La ventola della stanza girava fortissimo. «Io vi pago!»
 Risate. Si guardò attorno. Le pareti non erano più di finta pelle nera, né c’era la poltrona imbottita o lo specchio su cui aveva visto riflesso il proprio sedere martellato da un aggeggio di gomma.
 C’erano persone, simili a lui, con la cravatta e il sorriso sbiancato. Una aveva gli occhiali.
 Quell’una batté il palmo aperto su una pila di fogli. «Adesso che A è tornato dei nostri,» zampettò sino alla lavagnetta, «parliamo del contratto.»
 «Il contratto è chiuso, disme— come si dice? È sparito. Via.»
 Tanti occhi fissarono A. Soprattutto quelli con gli occhiali. «Che dici? Ma che hai oggi? E perché non stai seduto dritto?»
 «Mi fa male.»
 «Che?»
 Una terza bocca si aprì. «Signori, parliamo del contratto o no? Signor P, spiegaci.»
 «Se il signor A permette.»
 Lui annuì. Il cuscino della sedia era più duro del giorno prima.
 «E allora, colleghi del consiglio. Siamo a un passo dal firmare, abbiamo praticamente vinto l’appalto. La ricostruzione del quartiere delle pu— prostitute è in mano nostra. Demolire. Ricostruire. Progresso! Una nuova direzione per la nostra gloriosa città di M!»
 «Ah.», «Ohoooh!», «Eh!»
 La sedia strisciò e A, poggiato con entrambe le mani al tavolo, fissò la lavagnetta. «No.»
 «E perché no?»
 «Signor P, se dico no, è perché ho in mente altri piani.»
 «Che piani hai? Che piani hai mai avuto? Cristo solo sa com’è che sei seduto a questo tavolo.»
 «Mia moglie mi ha chiesto di. E allora io ho fatto come. È facile.»
 Lo fissarono, tutti gli occhi, ma soprattutto quelli con gli occhiali.
 «Signor A, se entro domani non trovi un’alternativa, il contratto si firma e si procede alla ricostruzione. Un cambio di ro—»
 «Fanculo.»
 «Come!?»
 «Arrivederla, carissimo.» E chiuse la porta.
 
La ventola del salotto girava, ma non troppo. Sul tavolo, le chiavi della macchina della moglie. Assieme al filo interdentale che indossava come mutandine.
 La porta della camera da letto socchiusa, la luce rossastra della lampada sul comò. Stavano sgozzando un animale, lì dentro.
 Entrò. «Amore, sono tornato.»
 Lei era sul letto, nuda. Le grosse mammelle di silicone erano inchiodate al petto, incapaci di movimento nonostante sia da dietro che davanti due distinti signori si premuravano di cuocerla allo spiedo.
 L’altalena si fermò. «Come va il piano per smantellare quel quartiere di merda?»
 «Benino.»
 L’uomo dietro alla signora A la sculacciò e lei liberò uno spruzzetto acidulo dalle cosce. «Esci dalla stanza. Torna quando hanno smantellato quel quartiere di merda.»
 I due uomini salutarono con un cenno del capo e lui, il Signor A, che mai si mostrava scortese, ricambiò.
 
La ventola della stanza aveva smesso di girare. Minacciava di riprendere, ma nel senso opposto. Voleva cambiare direzione, ma A storse il naso.
 «Nulla deve cambiare.» E si alzò, indicando la lavagna. «Niente cambi. Niente svolte aziendali. Niente quartieri distrutti. Niente.»
 «Signor A, ha forse perso la brocca?»
 «Oh, la brocca. Ma come cazzo parli?» Sputò sul tavolo del consiglio. «Ho denunciato la compagnia. Ho contattato i giornali.»
 «Signor A! Perché mai?» Il signor P si tolse gli occhiali.
 «Siamo collusi. Le puttane ci controllano.»
 «Ma cosa stai blaterando, pazzo? Non è vero nulla!»
 «Ah, lo sarà presto.» Uscì saltellando. «Niente deve cambiare. Nessun cambio. Nessuna svolta. Niente.»
 L’autista lo aspettava sotto. «Signor A, dove andiamo?»
 «Al quartiere immortale dove tutto è immutato ed eterno.»