Amore eterno

L’ostia consacrata sovrastava l’assemblea e osservava genuflessioni, pentimenti, preghiere e lacrime, come ogni benedetta domenica, come ogni santa giornata che il Signore mandava sulla terra. Consacrata. Quando aveva iniziato a pensare che si trattasse solo di qualcosa da mettere sotto i denti e nulla più? Forse dalla Messa del Giovedì Santo quando Giovannino gli aveva chiesto perché si chiamassero ostie consacrate. «Possibile che ci sia Gesù là dentro, padre?». Ragazzino sveglio quello. No, la sua fede aveva iniziato a scricchiolare molto prima, quando l’ostia si era elevata sopra quella piccola bara bianca. Tutti piangevano, molti fissavano inermi quel maledetto palloncino legato a una panca. Ma lui no, guardava quell’inutile e ridicolo piccolo disco di pane tra le sue mani.
 
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza. 
 
Il salmo responsoriale che la vecchia Ada aveva letto poco prima gli rimbombava nella testa. Forse l’errore era stato credere che la vocazione avrebbe risolto tutto e che i suoi problemi sarebbero spariti. Abbassò le mani e ripose l’ostia sulla patena. Un’ostia, proprio come quella alla base del panforte, nulla più. Gesù lì dentro, certo e poi c’era la marmotta che confezionava la cioccolata. Al diavolo tutte queste storie. Non vedeva l’ora di finire l’ultima messa della domenica e andare al calduccio, in canonica e stare un po’ con lui, l’unico vero Santo della sua vita. 
 
Proteggimi o Dio, in te mi rifugio. 
 
Quante volte aveva cantato e recitato quel salmo ma niente, lui ,il Santo d’Israele, non si era fatto vivo e la sua voglia di uccidere non si era mai placata. 
«Don Verdiano, il Padre nostro».
Guardò Giovannino, sembrava avesse detto qualcosa. 
«Che vuoi?». Osservò il viso del ragazzo. Diventava sempre più bello col passare del tempo. 
«Il Padre nostro Don, c’è il padre nostro ora». 
 
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio. Anche di notte il mio cuore istruisce. 
 
Com’è che faceva poi? Forse qualcosa che aveva a che fare col mettere Dio davanti a tutto e a tutti. Certo, come no? Dio era così importante per lui che no, un momento, che diavolo stava dicendo? Dio era stato così importante per lui, prima che si prendesse la cosa più preziosa della sua vita, che gli aveva dedicato quasi vent’anni della sua esistenza. Vent’anni chiuso in una canonica, tra messe celebrate davanti a un pubblico sempre più attempato e ore di catechismo insegnato a quattro gatti. Vent’anni a recitare le solite preghiere, unaa vita passata a chiedere perdono al nulla.
Incrociò ancora lo sguardo di Giovannino. Ma che cavolo voleva adesso? Non stava forse facendo le cose come le faceva da una vita? Il ragazzino cambiò espressione, sembrava spaventato, e guardò da un’altra parte. Ecco bravo, che pensasse a guardare altrove, senza scocciarlo. 
 
Sta alla mia destra, non posso vacillare. Mi indicherai il sentiero della vita. 
 
Il sentiero della vita. Che stronzate. La sua vita era finita quando l’unico amore che aveva avuto si era spento, ucciso dal tumore al pancreas. Il sentiero della vita. Aveva perdonato tutto a Dio, anche quella maledetta bara bianca. Ma Vittorio no, non doveva prenderselo. Non doveva chiudere quegli occhi meravigliosi.
Tirò fuori il fazzoletto dalla manica e si soffiò il naso, mentre osservava le sorelle Capresi sedute come sempre nella prima panca della fila centrale. Che vita di merda, uno spreco. L’esistenza passata da sole, tra rosari e pellegrinaggi. Erano state geniali però. Avevano sfruttato quelle cazzate per far soldi, quando avevano aperto il negozio di paramenti sacri. 
Giovannino lo tirò per la casula.
«Don, deve dare il Signore all’assemblea». 
Che palle questo ragazzo. Adesso lo dava il Signore, sì e che palle. Accidenti a lui. 
Prese la pisside e si avvicinò alle due file di pecoroni già posizionati per ricevere il panforte. 
Sorrise pensando a come sarebbe stato bello se tutti quegli idioti gli avessero letto il pensiero. 
Pensò a Vittorio e a quanto avrebbe riso se lo avesse sentito in quel momento.
Fu invaso dal desiderio di vederlo e quasi affrettò il passo. Doveva finire subito, doveva vederlo. 
 
Esulta la mia anima, anche il mio corpo riposa al sicuro. 
 
Il suo corpo riposava davvero al sicuro. Il pensiero di vederlo terminata la messa iniziò a tormentarlo. Il suo Vittorio era lì, nel suo eterno giaciglio ad aspettarlo. Dio gli aveva preso l’anima, la mente e le forze ma non avrebbe mai avuto il suo corpo. 
 
Perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro. 
 
No, non avrebbe mai decomposto e distrutto quella meraviglia. DIo non poteva creare corpi così belli e poi distruggerli.
Era stata una delle idee più grandiose quella di rispolverare il vecchio congelatore della casa famiglia. Era stato geniale, perfetto. Il suo Vittorio giaceva intatto, eternamente integro. Bello per sempre. 
Non poteva creare e distruggere, no. DIo non poteva farlo. 
 
Né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.