Anomalie

Mi tolgo il visore e strizzo gli occhi. Orin è chino su di me e tiene una mano sullo schienale della poltrona da gioco.
«158 su 160» Scuote la testa, incrocia le braccia. «Bel fenomeno che sei. Vedremo che farai quando saremo nel sotto-cupola con le anomalie che ti corrono attorno.»
«Sarò più veloce di te.» Mi alzo, stiro le braccia, sfioro la base delle falangi e sospendo le funzioni del guanto. Una luce gialla mi raggiunge il gomito.
Il led sopra la porta della stanza lampeggia.
Un formicolio mi percorre gli zigomi e la voce dell’Intelligenza mi riempie le orecchie. «Addetti alla quiete, allarme anomalie nel settore A48.»
Balzo oltre il tavolino. Orin mi trattiene per un braccio. «Non allontanarti da me, Bizon. Chiaro?»
Annuisco. Come sono le anomalie? Le vedrò?
 
La luce del mio casco crea un cerchio bianco nel tunnel vuoto. I manutentori sono già passati a recuperare il materiale utile. Adesso ci siamo solo noi, il silenzio e il buio.
Creo un anello con pollice e indice. L’app si attiva con un pizzico di solletico al centro del palmo. Una piccola luce azzurra si sposta fra le dita e sul dorso del guanto.
Il tunnel si biforca. Orin gira a destra verso la base della cupola.
La barriera biancastra tremola. Emana calore.
«Ma è normale che sia così… sfilacciata?» Scuoto la testa.
Orin sghignazza. «Ah, perché adesso sei un tecnico tu, vero?»
Mi avvicino ancora. Faccio qualche passo e seguo la curva del tunnel. Mi blocco. L’energia è lattiginosa e non è omogenea qui. Si intravede il cemento del vecchio muro.
«C’è una breccia.» Un varco per l’esterno con i suoi disordini e contagi. Deglutisco, apro e chiudo la mano. «Hai sentito Orin?»
Mi volto. Il mio partner è oltre la svolta.
Uno scalpiccio. Un suono di passi, ne sono sicuro.
Mi infilo nello spazio aperto nella barriera. Il varco finisce e inciampo tra tubi di gomma, cavi, travi di metallo e mattoni sbriciolati.
Inspiro, riduco l’intensità della luce. Cammino; da questo lato nessuna energia, solo cemento spoglio. Sono sotto la nostra cupola, oltre ogni sicurezza.
Punto la mano avanti a me. Non c’è il leggero ronzio, non la carezza elettrica lungo gli zigomi e dietro le orecchie. Qui l’Intelligenza non mi può guidare.
C’è una breccia alla base della cupola e io sono scollegato. Mi si chiude la gola.
Dovrei tornare indietro.
Un movimento. È un’anomalia? Devo quietarla, subito. Mai lasciargli tempo.
Punto la mano avanti e avanzo senza rumore. L’anomalia è a tiro.
Due braccia, due gambe. Capelli ricci e scuri. Scavalca tratti di cemento sbriciolato e imbraccia qualcosa. Sono fatte così?
La massa di materiale che ho sotto i piedi frana, scivolo. L’anomalia, anzi la persona, si volta. Sgrana gli occhi. Quella è paura.
Alza le braccia.
Uno schiocco e il calore mi sboccia nella coscia. Rotolo fra le travi di acciaio.
Il punto di calore si allarga e diventa una fiamma.
 
Perché non mi ha disintegrato con quel suo guanto? Poteva ammazzarmi. Ma è solo un ragazzo, quanti anni avrà? Diciotto? Addetti alla quiete li chiamano, che stronzata.
Posso finirlo e andarmene. La breccia è compromessa, ci vorranno mesi per crearne un’altra.
Mi guarda, boccheggia. Ha gli occhi chiari. Sono tutti uguali, li fanno tutti uguali.
Ma lui no, non mi ha ammazzato.
Appoggio la balestra al mio fianco.
Lo zaino carico di materiale pesa un casino, tiro uno spallaccio.
Siamo ancora soli, ma il suo compagno deve essere vicino. Vanno sempre in coppia gli schiavi dell’Intelligenza.
Afferro l’asta della freccia nella sua gamba.
Estraggo. Lui grugnisce, piagnucola. Come un bambino, perché è solo un bambino.
Gli frugo fra le tasche e trovo il cilindretto dei miracoli. Potrei scambiarlo per un sacco di cibo.
Sospiro, calo il cilindro sulla sua coscia e premo il pulsante prima che muoia dissanguato. Quello annaspa, sgrana gli occhi e la luce del suo casco mi abbaglia. Sbatto le ciglia e mi faccio schermo con le mani.
Lo scuoto un po’. «Ascolta, amico. Mi vedi?»
Ha gli occhi pieni di lacrime. «Anomalie…»
Mi passo la mano sulla faccia e mi impiastriccio di sangue. «Tu non mi hai ammazzato e io ti ho salvato, capito? Sono una persona, sono come te.»
Mi alzo, recupero la balestra, comincio a correre lungo i binari dell’antica metro.
Magari si ricorderà, magari un giorno finirà tutto questo.