Anonimo

Una vita da mediano: una canzone, ma anche la storia più comune che ci sia. Finalista nella 113° Edizione di Minuti Contati con Federico Guerri come guest star, un racconto di Viviana Tenga.

 
L’ufficio marketing aveva studiato ogni dettaglio, le risorse umane avevano messo massimo impegno nel cercare la persona giusta.
La nuova sede non sarebbe stata inaugurata dal presidente né da nessun’altro di importante. L’azienda dava lavoro a persone qualunque, per aiutare persone qualunque. E una persona qualunque avrebbe tagliato il nastro rosso. La più anonima tra gli ottocentonovantuno dipendenti.
Rambaldo Martini lavorava lì da nove anni. Non l’ultimo arrivato, ma neppure un veterano. Aveva trentacinque anni, anche se vedendolo gliene si sarebbe dato qualcuno in più. Esteticamente, non era né bello né brutto. Una corporatura media, un volto anonimo e ben rasato, una faccia da brava persona, un tesserino da cui si evinceva che era fotogenico. Si collocava nella zona medio-bassa della gerarchia aziendale, aveva uno stipendio decente e un ruolo che gli permetteva di prendere poche decisioni su alcune questioni molto specifiche.
Era, insomma, una persona insulsa, perfetta per il ruolo di dipendente qualsiasi che l’azienda sceglie di rendere speciale.
 
Rambaldo aveva trentacinque anni, un nome ridicolo ereditato dal nonno e un lavoro che gli era del tutto indifferente.
Un tempo aveva avuto degli amici, una compagnia di sei o sette persone con cui si vedeva regolarmente. Lui non era mai stato il più carismatico del gruppo, ma con loro si trovava bene. Poi, un po’ alla volta, li aveva persi tutti di vista. Qualcuno aveva messo su famiglia, qualcuno si era trasferito lontano, qualcuno semplicemente non si era più fatto sentire.
Rambaldo aveva anche avuto delle ragazze, ma gli sembrava che le sue relazioni si facessero sempre meno intense e che passasse sempre più tempo tra una e l’altra.
Aveva un buon rapporto con la maggior parte dei suoi colleghi e spesso pranzava con loro. Chiacchieravano di lavoro, dell’ultima partita di campionato o di qualche fatto di attualità. In nove anni, nessuno gli aveva mai proposto di vedersi fuori dal lavoro, né lui l’aveva mai proposto a loro.
Un tempo, Rambaldo aveva anche avuto una passione per la musica. Ora ascoltava sempre gli stessi dischi da anni e aveva la vaga cognizione che la chitarra fosse ancora da qualche parte in cantina.
Ogni tanto, gli capitava di avere attacchi di rabbia di cui non capiva nemmeno lui l’origine. Per fortuna, viveva da solo, così che nessuno lo vedeva e lui se la prendeva con gli oggetti, distruggendo cose di poco valore che gli capitavano a tiro. Una volta, si era rotto due dita tirando un pugno contro il muro del bagno. In ufficio aveva raccontato di un mobile scivolato mentre aiutava un amico a trasportarlo, benché all’epoca già non avesse più amici.
 
Mentre tagliava il nastro rosso della nuova sede, con tutte quelle macchine fotografiche puntate su di lui, per un attimo Rambaldo si sentì importante. Sentì qualcosa che si risvegliava in lui, l’impressione di un nuovo capitolo della sua vita che stava iniziando.
Per un attimo, il suo sangue pulsò con più energia. Per un attimo, Rambaldo fu felice.
 
Il giorno dopo, la vita riprese grigia e monotona come prima.