Asso di picche

Non metto piede qui dentro da quando si chiamava Asso di picche.
La luce al neon della nuova insegna illumina la strada.
Settimo cielo. Chi cazzo ha preso in gestione ‘sta bettola? Un’orda di suore sbronze?
Spalanco la porta, il fetore di sudore e alcol mi svernicia la faccia. Dentro è rimasto tale e quale a come lo ricordavo: la penombra, le solite facce smunte.
Manca solo il povero Renato dietro il bancone. Uomo fragile, Renato, come una foglia secca che cade in autunno.
Non lo voleva neanche fare, lui, quel colpo in banca. “Nano, ho un brutto presentimento, stavolta ci lasciamo la pelle.” La posta in palio era troppa alta per noi, scassinatori di edicole.
Tutta colpa mia, averlo abbandonato lì, con gli sbirri alle calcagna.
Il cigolio del parquet mi da il benvenuto. Tutti si voltano, hanno gli occhi sgranati.
Il nano è appena uscito di galera, stendete un tappeto rosso.
C’è una ragazzina tatuata a spillare birre. Avrà una ventina d’anni e riempie i boccali a due tizi in piedi davanti a lei. La tipa dietro il bancone non mi molla un secondo con lo sguardo. Avrei voglia di farmi una scopata, ma non sono il tuo tipo bella, lascia perdere. Il nano è meglio perderlo che trovarlo.
Eccolo lì, Massi. Seduto al solito tavolo in fondo, quello dove progettavamo i peggiori colpi della storia, tra una striscia di coca e uno shot di rum. Dove abbiamo preparato anche l’ultima rapina, dodici anni fa.
Massi alza gli occhi «Nano! Finalmente, il mio fratellino! Chi non muore si rivede…»
Figlio di puttana, in tutto questo tempo, il fratello grande non si è preso cura di quello più piccolo. Vorrei sfondarti di botte.
«Cosa pensavi?» Appoggio il culo sulla sedia di fronte a lui. «Che sarei uscito da quelle quattro mura di merda steso dentro una bara?»
«Se esci morto da Regina Coeli è già qualcosa se ti infilano in un sacco nero.»
Lui scoppia a ridere, io mi trattengo. Si avvicina e mi abbraccia. Ma dura poco, prima le cose importanti.
«Lo sai perché sono qui, vero Massi?»
«Non perdi tempo, eh. Sei uscito soltanto stamattina.» Schiocca le dita. «Hei, bella, due shot di Zacapa!»
«Ma sì, offro io.» Vorrei sbattergli la testa sul tavolo. Mi prudono le mani, ma me le infilo nelle tasche della giacca, per ora. «Due bicchieri di rum posso anche permettermeli, con tutti i soldi che mi devi. Eh, Massi?»
«Dai, non fare così, beviamo qualcosa, poi parliamo di soldi.»
«Non fare così?» Sfioro la pistola nella tasca. «Non sei venuto mai a farmi visita in tutti questi anni. Mi hai lasciato nella merda!»
La ragazza arriva alle mie spalle, appoggia il vassoio col rum sul tavolo. «Ecco a voi.» La tipa fa un gran sorriso a Massi. Mi guarda e digrigna i denti. «Il primo giro lo offre la casa.»
Ha la maglia scollata e il seno sporgente. Massi la stringe in vita e infila la sua testa di cazzo tra le tette.
«Falla finita, Massi!» La tipa si divincola e se ne va.
«Sei la solita testa di cazzo, avrà si e no vent’anni.»
Massi le guarda il culo finché non gira dietro il bancone e si tocca in mezzo ai pantaloni. «Grazie, Rebecca!» Prende il bicchiere in mano, e lo fa tintinnare col mio. «Salute!»
Sbattiamo il bicchiere sul tavolo e ci tracanniamo il rum. Mi scende giù in gola e brucia come fuoco.
Mi lacrimano gli occhi. «Come hai detto che si chiama la barista?» Ho la gola in fiamme.
«Si chiama Rebecca.»
«Che coincidenza.» Mi brucia il petto e mi gira la testa. «Come la figlioletta del povero Renato.»
Tossisco, mi manca l’aria.
«Eh, già. Ti ha aspettato per tanto tempo.»
«Cosa?» Mi tremano le gambe. «Non mi sento bene, Massi.»
Mi stringo le mani alla gola. Mi manca il respiro.
«Povero nano, pensavi di venire qui a chiedere il conto? Beh, non eri il solo.»
«Figlio di putt…» Mi accascio a terra.
Massi si avvicina, sento il suo alito sulla mia faccia.
«Hai lasciato morire suo padre, povero Renato. Pace all’anima sua. Dal suo punto di vista, anche lei aveva da chiedere il conto… a te.»
Chiudo gli occhi, è finita.
Meglio morire al vecchio Asso di picche che in galera, steso in un sacco nero.