Attraverso lo specchio

Il nemico oltre lo specchio in questo racconto di Raffaele Palumbo, sesto classificato nella 121° Edizione di Minuti Contati con Danilo Arona come guest star.

 
È martedì, e alle 5 ha appuntamento con l’oculista. Alla segretaria aveva chiesto una visita di controllo per un “ritardo percettivo”, aveva detto così. Uno sfasamento della vista, tipo quando in tv ci sono i collegamenti con l’estero, e il telecronista muove le labbra e senti la voce un po’ prima o un po’ dopo. Le aveva detto questo per spiegare, perché il dottore potesse preparagli dei test adatti, ma lei gli aveva chiesto solo nome e cognome e cellulare.
Ecco, quando si faceva la barba, per esempio: vedeva la sua immagine riflessa come se fosse arrivata sullo specchio con un briciolo di anticipo. Non ne era sicuro, così ogni tanto verificava.
Anche adesso vuole riprovare. Dà un’occhiata all’ora – sì, per l’oculista c’è ancora tempo. Se ne sta basso al livello del lavandino, le ginocchia piegate in modo da non poter vedere la propria immagine riflessa. Tutto questo gli sembra una cosa scema, gli ricorda un buffo film degli anni Trenta di cui ha dimenticato il titolo. Poi d’improvviso si alza in piedi. Ecco!, è successo di nuovo. Come se la sua faccia fosse già stata lì, nello specchio, prima che lui si affacciasse.
Inizia a guardarsi nel riflesso. Si avvicina, quasi tocca col naso la superficie di vetro. Gli occhi. Dentro gli occhi.
E improvvisamente capita questa cosa, ed è la prima volta che gli succede: gli pare che gli occhi dall’altra parte, i suoi stessi occhi, abbiano avuto quasi uno scarto, come se avessero guardato da un’altra parte. Giusto un attimo, una cosa appena percettibile.
Sudore sulla fronte. Mette le mani sul collo a cercare la giugulare o quello che è, guarda la lancetta dei secondi, calcola la frequenza del cuore. Circa 120: veloce.
Quando alza lo sguardo dall’orologio, allora vede. La sua immagine riflessa non ha la mano sul collo. Tutto uguale, ma senza la mano. E però adesso gli sembra quasi che sia l’immagine a guardare lui. Muove appena la testa, fa sì e no: e niente, la sua faccia oltre lo specchio resta immobile. Il cuore corre: non controlla con l’orologio, ma sarà a 200.
«Che… che succede?» balbetta, vergognandosi nel momento stesso in cui parla.
Il suo se stesso nello specchio gli sorride. Sorride e aggrotta le sopracciglia. «Siamo stati cattivi, tanto cattivi». La voce è un sospiro che gli sa di crudele, di maligno.
«Ca-cattivi?» ha appena la forza di rispondere – rispondere a se stesso nello specchio: altro che oculista, qui ci vuole uno psichiatra.
«Cattivi» conferma l’immagine. Adesso ha un’espressione severa, e fa lentamente di no con la testa.
La mano destra, quella che conta il battito cardiaco sotto il colletto della camicia, prende a informicolirsi. Come se non le arrivasse più il sangue. La sente calda, poi fredda. Poi ancora – ed è questione di secondi – poi più niente, una mano che non gli appartiene più, una mano morta.
«Adesso» ordina il suo nemico di fronte a lui. E sente che la mano comincia a stringere, a stringere sempre più forte. Lui ha giusto il tempo per tossire un paio di volte.