Babbala, Paladino e la Vecchia Sam

Lei è lì, nell’angolo più buio della stanza.
Lunghe braccia scheletriche, che terminano in mani artigliate. Pelle grigiastra, che scintilla in modo insano alla luce lunare. Il volto nascosto dai lunghi capelli neri, tra i quali riesco ad intravedere due occhi rossastri.
Il suo corpo scricchiola in modo sinistro mentre comincia a distendere lentamente le braccia verso di me.
«Perché mi hai invocata?» La maschera di capelli si agita, lasciando intravedere una bocca piena di denti aguzzi. «Dopo tutto questo tempo, fai il mio nome in piena notte. Quel nome che, un tempo, non avresti mai avuto il coraggio di pronunciare neppure alla luce del sole. Perché?»
«Io… io non lo so.»
Non sto mentendo: il suo nome e il suo volto mi sono tornati alla mente alla mente all’improvviso, in una notte senza sonno. Ridendo delle mie paure di bambino, ho pronunciato quel nome a cuor leggero, e ora lei ha preso forma.
«Ti strapperò la carne dalle ossa» – sussurra, estendendo oltre i capelli una lingua simile a un verme nerastro. «Si: è questo che farò. Ti caverò i denti e ne farò una collana. Scaverò via il tuo cervello e farò una tazza con il tuo cranio. Una tazza in cui berrò il tuo sangue ancora caldo.»
Sorride, ormai a meno di un metro da me.
«Hai paura, piccolo uomo?»
«Io… no. Penso di no.»
Lei si ritrae.
«Cosa vuol dire “no”? Sai bene che non puoi mentirmi!»
«Ma non sto mentendo. Non mi fai paura. Sei… sei troppo infantile per farmi paura.»
Lei attacca: ferma i suoi artigli a pochi centimetri dal mio collo. La lingua-verme mi danza giusto davanti agli occhi.
«Come puoi dire che non ti faccio paura? Io SONO la paura!»
«Sei la paura di un bambino. Un babau. Un adulto ha paura di ben altre cose» rispondo io, stupendomi della mia stessa tranquillità. «Restare senza soldi; fallire nel proprio lavoro; essere soli, senza nessuno da amare…»
«No! Non è così che doveva andare!» esclama una voce alle mie spalle. «Tu dovevi essere terrorizzato dalla Vecchia Sam, e noi dovevamo intervenire per salvarti. Proprio come ai vecchi tempi!»
Mi volto. Sulla testiera del letto sono comparse due figure: un cavaliere in scintillante armatura e una sorta di buffo uomo-scimmia con una parrucca rossa. I loro nomi emergono dalla mia memoria come per magia.
«Paladino? Babbala? Cosa ci fate qui?»
«Siamo stati noi a ricordarti il nome della Vecchia Sam» dice Paladino. «doveva aiutarti a richiamare la tua infanzia.»
«Scusate, ragazzi» piagnucola la creatura «Ce l’ho messa tutta, ma non sono riuscita a spaventarlo.»
«Non è colpa tua: è lui che si porta appresso le sue paranoie da adulto pure nei sogni» esclama Babbala. «Insomma, va bene averci dimenticato, ma perché rifiuti il nostro aiuto?»
«Aiuto?»
«Certo. Non ti rendi conto che rischi di perdere qualcosa di irrecuperabile?» Paladino incrocia le braccia. «Che ne è stato di quel bambino spensierato, pieno di sogni ed incubi?»
«È cresciuto. E, crescendo, certe cose si dimenticano.»
«Non si dimenticano, zuccone: si conservano, come vecchi giocattoli che non usi più, ma che metti da parte, perché sono cose preziose.»
È vero. Ora ricordo le notti buie, in cui i miei timori di bambino materializzavano mostri in ogni angolo oscuro. E la Vecchia Sam, che sarebbe strisciata verso di me per divorarmi, se non fosse stato per il valoroso eroe in armatura e il buffo uomo-scimmia.
Perché ho dimenticato quei momenti? Dove ho sepolto la mia infanzia?
«È qui, dentro di te» dice Babbala, toccandomi la fronte con un dito, leggendo chissà come i miei pensieri. «Aspettano solo che tu li riporti alla luce, per dare un tocco di colore alla tua vita.»
Babbala e Paladino mi abbracciano.
«Anche il nero degli incubi è un colore, se vuoi» dice la Vecchia Sam, avvicinandosi.
Guardo i miei piccoli difensori, poi guardo lei. Alla fine, la includo nell’abbraccio.
«Non mi sono mai davvero liberato di te» le sussurro. «Sentivo la tua presenza ogni volta che vedevo un horror di notte. Avevo solo dimenticato il tuo nome.»
Lei sorride. Un sorriso orribile, fatto di labbra esangui e denti appuntiti.