
Il cavallo era sellato e pronto a fare il suo dovere.
Lo aspettava all’ombra della pianta. Era irrequieto, come se avesse capito.
Animali… Terence era convinto fossero dotati di una spiccata sensibilità. Ancor di più lui: Billy Joe. Un Quarter Horse dal manto nero come la pece, che lo accompagnava da ormai trent’anni. Era solo un ragazzino quando gli era saltato in groppa la prima volta. E adesso… erano entrambi stanchi, di una stanchezza pesante come la polvere sotto i suoi piedi e che avvertiva gravare anche dentro ai polmoni.
Billy Joe scosse la testa, lasciandosi andare a un rumoroso nitrito, mentre Terence metteva il piede nella staffa e gli montava in sella. Pestò con forza uno zoccolo, quando l’uomo si mise in posizione.
Terence chiuse gli occhi e poteva immaginarseli: una manciata di indiani al galoppo diretti a un piccolo ranch, dove sua moglie e i suoi due figli erano intenti ad abbeverare le mucche. Le loro grida selvagge squarciavano il cielo, in un’antica profezia di morte.
Terence strinse le briglie.
“Forza Billy Joe. Mi devi quest’ultimo favore, vecchio mio.”
In risposta il cavallo irrigidì la muscolatura.
Era come cavalcare un grosso masso inamovibile.
“Devo raggiungerli. Non mi abbandonare proprio ora!”
Lo supplicava assestandogli dei colpi con i tacchi degli stivali. Prima deboli, giusto per incentivarlo. Poi un po’ più forti e infine così potenti da temere di avergli fatto male.
Nulla. Billy Joe sbuffò aria dalle grosse narici, agitò la coda e mosse il muso come quando scacciava le mosche fastidiose. Non si prese la briga nemmeno di agitarsi, di impennarsi o di tentare di scrollarselo di dosso. Aveva messo radici come la pianta che faceva loro ombra.
Terence sentì gli occhi gonfiarsi e infine lasciarsi andare a un pianto viscerale. Singhiozzò e con una mano mollò la presa dalle briglie e cominciò a colpirlo forte con le dita strette a pugno. Questa volta non ebbe timore di fargli male. Voleva proprio fargliene.
“Perché mi stai facendo questo? La chiami amicizia? Io ti ho dato tutto, bastardo! Ti ho trattato come un fratello in tutti questi anni. Mi ripaghi così?”
Altri pugni, accompagnati da tremiti del petto, delle spalle, di parti di sé di cui sentiva di aver perso il controllo.
Di nuovo chiuse gli occhi. Cercò di immaginare i suoi figli, George ed Emily, al suono di quelle grida di guerra. Si erano nascosti? Piangevano? Lo chiamavano a gran voce?
Padre! Aiutaci!
Come una preghiera innalzata all’Altissimo. Ma Dio non stava guardando quelle terre da parecchio tempo ormai e forse, in fondo, erano stati tutti abbastanza peccatori da meritarsi la sua cecità. Ma loro… Erano così piccoli e con così tanto amore da dare al mondo.
Poi vide sua moglie. Li stringeva a sé cullandoli tra le braccia, in ginocchio, come una chioccia con i suoi pulcini. Sussurrava parole alle loro orecchie, forse una canzone, magari Little Jim, che cantava loro ogni sera.
E lui non c’era. Non era lì a difenderli.
“Vuoi muoverti, bastardo? Muoviti, per Dio!”
Ma Billy Joe non obbediva. L’aveva tradito proprio quando aveva più bisogno di lui.
Terence era sfinito. I pugni si fermarono, si tramutarono in carezze.
“Ti voglio bene, amico mio. Ma cerca di capirmi… Devo raggiungerli. Ti prego.”
La voce era roca, faticava a uscire.
Ci fu un silenzio surreale. Si poteva udire solo la polvere che si sollevava in aria per poi ricadere pesantemente a terra, poco più in là. Una brezza li accarezzò entrambi. Poi, Billy Joe, mosse una zampa in avanti.
Un’altra lacrima scese lungo la guancia di Terence.
“Grazie, amico mio. Andiamo.”
Un’altra zampa, un’altra ancora. Mentre il cavallo procedeva, Terence rimaneva fermo. Avvertì il vuoto sotto di sé e la corda che aveva legato al ramo gli si strinse attorno al collo col suo cappio.
Terence penzolò, lasciandosi andare a qualche sussulto, mentre annaspava.
Avrebbe riabbracciato la sua famiglia, morta due settimane prima. Li avrebbe raggiunti presto.
Giusto il tempo di ricambiare lo sguardo del suo amato Billy Joe.