Compagno di viaggio

Sesto classificato nella Sara Bilotti Edition, 145° All Time, un racconto di Fabio Aloisio.

 
L’astronave era piena.
L’hostess mi incitò con toni secchi a prendere posto.
Misi la ventiquattrore nella cappelliera e mi sedetti con un sospiro sconsolato. Tamburellando le dita sul bracciolo, lanciai un’occhiata afflitta alla porta da dove ero entrato: l’avevano appena chiusa.
Il passeggero accanto, che giocava a tria lasciando ditate sul finestrino, si staccò dalla sua occupazione e mi concesse un sorriso.
«Vuoi fare una partita con me?» Indicò l’oblò insozzato d’impronte grasse. «Io pareggio sempre…»
«Preferirei concentrarmi sul viaggio.» Sentii una goccia di sudore scivolarmi tra le sopracciglia.
«Primo viaggio interstellare?» domandò.
«Il primo» confermai, sentendo l’ansia stringermi il petto.
«Dai, non essere nervoso. Viaggiare nella Weirdimensione è supersicuro. Allaccia bene le cinture come ho fatto io.»
Rimasi perplesso dal modo in cui si era incaprettato braccia, petto e gambe.
«Ben strette, ecco, così» mormorò lui soddisfatto, quando serrai la mia attorno alla cintola. Poi indicò lo staff che aveva iniziato le procedure per la partenza. «Pensa che una volta non c’erano le hostess che piroettavano le braccia per indicarti come non uscire di testa in caso d’emergenza; nessuno insegnava i mantra mentali per proteggersi dalle insidie della Weirdività ristretta.»
«Lei viaggia da molto?»
«Da oltre cinquanta anni.» Mi mostrò quattro dita.
«I primi voli commerciali sono attivi da meno di quaranta…»
«Sono uno dei pionieri infatti» gongolò soddisfatto, facendo sporgere una coccarda piumata dal taschino della camicia che indossava.
Emisi un grido da gallina quando l’astronave si sollevò da terra con un rombo. Il mio sguardo si afflosciò quando vidi l’astroporto farsi sempre più piccolo nell’oblò dietro il mio vicino di posto.
«Sei un po’ pallidino. Mangi carne rossa ogni tanto?» si accigliò.
«Primo volo» gli ricordai. «Mi parli, per favore. Di qualunque cosa.»
«Bravo, così non pensi al viaggio. Spero di non annoiarti. Sai come funzionano i motori a bizzarria?»
«Vagamente» borbottai mentre vedevo la Terra rimpicciolirsi e la Luna sfrecciarci accanto. Le vertigini mi stritolarono lo stomaco. Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi solo sulla sua voce.
«I propulsori a bizzarria sono alimentati con stranezze e irregolarità. E cosa c’è di meglio per attivarli che farcirli di paranoie e idiosincrasie umane? È l’energia più pulita che c’è: basta mettere assieme un certo numero di persone “particolari” e hai tutto il carburante che ti serve.»
A quel punto ridacchiò.
«Che c’è?»
«Se non te ne sei accorto, siamo già arrivati. Non male, vero? Cinquecento anni luce in una manciata di secondi.»
Riaprii gli occhi. Dal finestrino entrava una luce fiacca e rossiccia, per nulla paragonabile a quella del Sole. In quel momento il capitano ci diede il benvenuto a Kepler 186f.
La navetta s’infilò nell’astroporto spaziale, una cintura orbitale fatta di strutture snodate, intervallate da grosse cupole che riflettevano il torpore della nana rossa.
Una volta terminato l’attracco, fu dato il segnale di slacciare le cinture.
Mi alzai e armeggiai nella cappelliera per recuperare il bagaglio. Nell’attesa che le prime file sciamassero fuori dall’astronave osservai il mio bizzarro compagno di viaggio, che se ne stava ancora legato come un salame, con la faccia schiacciata sul finestrino. Guardandomi attorno, notai che anche in altre file c’erano persone vestite come lui, che non s’apprestavano a scendere. Una trentina in tutto.
«Lei rimane qui?» gli domandai.
«Ah, io?» Starnazzò. «Sono ancora di turno. Anche se, più che dell’equipaggio, è meglio dire che sono parte del carburante. La bizzarria, ricorda? Ora che i viaggi sono utilizzati da tutti, anche dalla gente comune o troppo normale, come potrebbe definirsi lei, per alimentare il motore ci deve essere un contraltare davvero fuori di testa.
Lo guardai con commiserazione fin troppo palese.
«Non ti crucciare: adoro viaggiare. Ogni volta conosco qualcuno di nuovo.» Mi strizzò l’occhio e sussurrò: «E poi io so qual è la verità: la Weirdività è relativa. Il propulsore a bizzarria si nutre di stranezze, vero, ma chi è preposto a stabilire cosa lo sia?»
Si lasciò sfuggire ancora una risata: «Per me, siete voi i matti che alimentate il motore.»