
Quando suo marito rientrò dall’aperitivo, lo stufato era ormai freddo.
«Hai fatto più tardi del solito» constatò Lisa, accendendo il fornello sotto la pentola. Tiberio farfugliò qualcosa dal bagno, ma fu coperto dallo scrosciare dell’acqua.
La donna non chiese altre spiegazioni, quando il marito varcò la porta della cucina.
Nonostante non fossero sposati da molto, la loro storia già si trascinava.
Lui voleva un figlio e lei non era in grado di dargliene.
Il primo l’aveva perso al secondo mese, era stato un trauma.
La prima volta che ti capita è sempre la peggiore! Ma la sfortuna ci aveva messo il carico.
Tiberio si sedette a tavola, guardandosi intorno «Peregrino?»
Quel cane viene sempre prima di tutto! «L’ha portato fuori mio fratello. Tu non tornavi e ho chiesto a lui, sembrava che stesse per scoppiare, povera bestia!»
Il secondo l’aveva perso al settimo mese.
Avevano dovuto darle un farmaco per stimolarle le contrazioni. Aveva affrontato tutto il travaglio, ma solo per generare un morto, per espellere un cadavere.
Tiberio teneva gli occhi bassi sul Corriere, mentre il tegame sulla piastra cominciava a gorgogliare.
Il terzo sembrava un coniglio appena spellato.
Le avevano detto di non provarci più: «Due aborti, di cui uno dopo il quinto mese, sono quasi garanzia di averne un terzo!»
Ma Tiberio voleva un figlio e lei non era stata ancora in grado di daglielo.
Lisa riempì il piatto del marito, aiutandosi con un mestolo di legno.
L’uomo ripose il giornale e iniziò a mangiare annoiato, senza nemmeno guardarla in faccia.
Avevano dovuto usare il forcipe per toglierglielo da dentro.
I poveri resti non volevano uscire, avvinghiati a quel suo utero, quasi lo volessero far marcire con loro, una volta per tutte.
Quando l’avevano tirato fuori, aveva la testa allungata e le aveva ricordato Bianchina.
L’aveva vinta a una sagra di paese, a undici anni: una coniglietta appena svezzata.
L’aveva cresciuta come una mamma: si occupava di farla mangiare e le accarezzava il manto morbido tutti i giorni.
Un giovedì, a pranzo, tornata da scuola, l’aveva mangiata.
I suoi le avevano detto che era pollo fritto.
La verità era arrivata dopo.
Allora non era come oggi. I bambini dovevano capire. Diventare grandi in fretta.
Quando aveva perso il primo figlio, Tiberio era rimasto con lei in ospedale per giorni: le aveva accarezzato il viso per ore, si era addormentato sulla sedia tenendole la mano.
La seconda volta si era fatto vivo solo il giorno dopo, con un mazzo di rose, come se quella morte meritasse festeggiamenti.
La terza volta l’aveva aspettata a casa, dopo che l’avevano dimessa.
«Mi sono rassegnato, a noi i figli non ci vengono! Allora ho preso un cane, così ti tiene compagnia! Per questo non son venuto in ospedale. I cani mica li fanno entrare!»
Peregrino, però, era l’ennesimo regalo per sé. Gli dava un’altra scusa per starsene fuori da casa: quando non era a lavoro, quando non era a farsi l’aperitivo, doveva portar fuori il cane.
Quando bussarono alla porta Tiberio aveva finito di mangiare.
Si alzò annoiato da tavola e andò ad aprire.
«Mi domandavo se oggi pensavi di scendere col cane, almeno facciamo due passi assieme!»
Lisa udì la voce del fratello dal pianerottolo e pensò allo stufato appena finito.
Gli uomini quando restano bambini, devono capire! Devono diventare grandi in fretta!