Cum clave

La città eterna era flagellata da un diluvio che durava da quasi una settimana.
Le gocce, più simili a pietre, non avevano smesso un minuto di far sentire il loro tamburellare ritmato sul tetto del magnifico edificio che ospitava la riunione.
Javier non credeva di arrivare così stanco alla fine del primo giorno. Questa era la sua terza partecipazione e nessun altro poteva vantare un simile primato. L’età ormai avanzata e la tensione dovuta alla possibilità concreta di una sua elezione avevano pesato più del previsto.
Quando aveva attraversato la porta d’ingresso della cappella sistina insieme agli altri cardinali, lo aveva fatto con il rispetto che si deve alla sacralità del luogo che ospita l’affresco più rappresentativo della magnificenza della Chiesa Cattolica Romana.
Aveva alzato gli occhi sulla volta con il Giudizio Universale ed era stato attraversato da un pensiero tanto potente quanto fugace.
Si era visto già papa, nell’atto di indossare i paramenti sacri, deciso a liberare la Chiesa dalle nefandezze degli ultimi tempi, a lavare via il lerciume dei costumi con la potenza della pioggia che batteva senza sosta poco sopra le meraviglie di Michelangelo.
Aveva anche pensato a quel diluvio come a un segno premonitore.
Si era subito vergognato di quella imperdonabile vanità, ma confidava che Dio avrebbe compreso la sua ambizione mossa dal desiderio di servirlo diventando il vicario di Pietro.
Dal momento del solenne giuramento pronunciato dal decano, era tornato a essere il cardinal Aguilar, rispettato nella sua Siviglia e in tutto il mondo cattolico per fermezza e rettitudine.
Non può piovere per sempre, pensava all’inizio del secondo giorno di conclave Javier Aguilar.
Non poteva piovere in eterno soprattutto su una Chiesa funestata dagli scandali della pedofilia e delle spregiudicate operazioni finanziarie dello IOR.
Durante la messa preparatoria pro eligendo pontefice aveva rafforzato i suoi legami con i cardinali spagnoli e americani, ottenendo un appoggio incondizionato alla sua candidatura.
Ma per raggiungere il quorum dei due terzi degli elettori aveva bisogno dei voti degli Italiani, i più potenti e numerosi.
Dopo la fumata nera seguita al secondo scrutinio del giorno precedente, la folla dei fedeli, radunata in piazza San Pietro nonostante la pioggia incessante, aveva espresso un rumoroso disappunto.
Javier sapeva bene che anche questa votazione sarebbe stata interlocutoria.
I candidati papabili, nel senso letterale del termine, erano altri due oltre a lui, ma solo il cardinal Cerruti, Vescovo di Bologna, costituiva un serio pericolo.
Al primo scrutinio del terzo giorno, Javier era convinto di essere vicino a realizzare il suo capolavoro diplomatico.
Aveva canalizzato su di sé oltre metà dei voti degli Italiani, impauriti dalle preferenze degli americani che, istruiti da lui stesso, avevano designato nelle prime votazioni il candidato africano.
I conti tornavano.
La pioggia aveva aumentato di intensità e sembrava voler attraversare e sciogliere il dipinto divino.
D’improvviso il diluvio si arrestò.
Lo scrutinio fu definitivo.
Una pioggia di lacrime del nuovo pontefice bagnò la stanza del pianto mentre fuori il sole, segno divino, era tornato a splendere sulla folla festante a seguito della fumata bianca.
Il nuntio vobis segnò l’avvento del primo papa africano della storia.