Dimora stregata

Le avventure di Patuffo alla ricerca di dimore stregate. Secondo classificato nella 114° Edizione All Time con Andrea Cavaletto come guest star, un racconto di Fabio Aloisio.

 
Patuffo si rammaricò quando lesse sul Fatale, il necrologio in appendice al Folletto Quotidiano, della morte di zia Gertude.
La vecchia aveva mollato il colpo dopo mille anni passati a depredare dentini da sotto i cuscini di tutto il mondo. La volpona però non aveva mai dato ai bambini il corrispettivo in soldini che le aveva affidato la mutua dentale, ma si era tenuta per sé il malloppo: molare dopo molare, aveva accumulato una piccola fortuna.
Il folletto attivò la sfera magica e chiamò la cugina Peppa per le condoglianze.
La poverina era a pezzi. Lui la consolò e versò con lei ben tre lacrime; poi chiese che cosa la vecchia gli avesse lasciato in eredità.
«Che modi!» brontolò quella piagnona. «Se ti interessa così tanto, rivolgiti all’avvocato Mortimer. Comunque sappi che…»
Patuffo, ormai annoiato, troncò la comunicazione e passò a quella successiva.
Mortimer era un nano delle profondità: non si stupì che la linea fosse tanto disturbata. Quello che blaterava l’avvocato era quasi incapibile: «Buongiorno Pat…» interferenza «…ema d’animo. La defunta si è ricordato anche di lei. Le ha lasciato in eredità lo chalet di Col…» interferenza «…mpie stanze, un giardino magnifico! Ma stia attento…» interferenza «… dimora stregata. Basta un sol…» interferenza «…le mando chiavi e documenti.»
Patuffo se la rise di gusto: i nani erano dei fifoni. Per i folletti, che invece padroneggiavano la magia, una casa infestata era come un parco giochi.
Subito dopo Il campanello trillò.
«Consegna urgente per Patuffo.» La postina, una donna dalla tonicità di una lince gli consegnò un plico. Da quando nel reame incantato era scoppiata la pace, le Amazzoni avevano dovuto riciclarsi come fattorini.
Lui aprì la busta, dove trovò le chiavi della villa e i documenti che ne attestavano la proprietà.
Volle visitarla subito: si teletrasportò di fronte al cancello.
Rimase deluso.
Lo chalet non aveva nulla di terrificante: nessun gargoyle sulle facciate, né liquido limaccioso che sgorgasse dalle finestre e quel cinguettare allegro nell’aria non gli andava giù.
Varcò la soglia e cominciò a gironzolare per quel giardino tanto grande da inglobare una piccola foresta.
Si ingozzò di fragoline e frutti di bosco che crescevano in prossimità di quella selva.
Quando si fece sera, entrò in casa.
I saloni del piano terra erano illuminati da candele mezze sciolte che si spensero al sospiro di una brezza gelida e sinistra.
Ideale per qualche manifestazione spettrale si eccitò lui.
Si aggirò nei budelli di quel maniero, senza trovare però nessuna presenza ectoplasmica.
Che palle, non succede niente! sbuffò.
Scocciato si recò in camera da letto e si mise a dormire, sperando che almeno un piccolo demone lo svegliasse di soprassalto.
Invece la nottata fu tranquilla. Il mattino seguente chiamò Mortimer; era così nervoso che aveva mal di stomaco.
Il nano doveva essere più vicino alla superficie perché la qualità della comunicazione era migliore.
«Sono delusissimo! Mi aspettavo una casa infestata» protestò Patuffo.
«Infestata da che?» replicò il nano, con voce sorpresa.
«Ieri, alla sfera magica, mi ha detto di stare attento che la dimora è stregata, ma non è vero.»
«Ma no!» sospirò lui. «Le ho detto di fare attenzione alla pianta di mora stregata che è vicina al boschetto, lì dove ci sono le fragole!»
Patuffo si accigliò: con la ricezione scadente dell’altra volta doveva aver capito male.
«Basta un solo frutto per contrarre il cagottus millecoloris» continuò il nano. «L’ha mica mangiata?»
Patuffo non ebbe modo di rispondere: stava già correndo verso il bagno con una striscia di arcobaleno puzzolente che gli ruscellava fuori dai calzoni.