
Terzo classificato nella Livio Gambarini Edition, 146° All Time, un racconto di Luca Fagiolo.
Mi sporgo sul bancone superando una bionda distratta e agito una mano verso il barman.
«Cosa ti preparo?» La musica è assordante, il tunz tunz mi rimbomba nei timpani.
Sollevo indice e medio. «Due cuba libre, poco ghiaccio.»
Annuisce e riempie i bicchieri di cubetti fino all’orlo. Fanculo.
Tiro fuori dieci euro e glieli allungo.
«Mancherebbero sei euro.»
Sedici euro per due cocktail? Estraggo un’altra banconota dal portafoglio e la appoggio sul bancone appiccicaticcio. Prendo i miei cuba libre e mi ributto nella calca. Spinte, gomitate, pestoni. Sembra una rissa, non una discoteca.
«Scusate, permesso.»
Che merda di posto.
Cerco di infilarmi tra due ragazze che ballano avvinghiate, ma sono come un francobollo e la sua lettera: inseparabili. Matteo si sbraccia dal tavolino. Guarda che lo so dove siamo seduti, vorrei vedere te in questa bolgia infernale. Se continuano a spintonarmi giuro che sbarello. E poi che fetore, mi ricorda lo spogliatoio delle superiori dopo l’ora di ginnastica.
«Oh Achille, vieni che ti presento Rosaly.»
Rosaly? Che cazzo di nome è Rosaly?
«Piacere.» Vorrei stringerle la mano, fisso i bicchieri e il tavolino occupato dalle giacche. Matteo viene in mio soccorso. Afferra i cocktail, ne offre uno a Rosaly e si attacca alla cannuccia dell’altro.
Spalanco la bocca. «Uno era mio!»
«Non ti sento.» Alza le spalle senza smettere di ballare.
Matteo si avvicina a Rosaly, con il mio cuba libre sollevato sopra la testa, appoggia la mano libera sulla sua pancia nuda e la stringe. Ancheggia e il liquido nel bicchiere trasborda finendo sulla mia giacca.
«Merda Matte, sta attento!»
Mi dà le spalle e sbaciucchia il collo di Rosaly, spostando con il naso una ciocca di capelli ramati. L’unica sera in cui non prendo la macchina deve trovarsi una da portare in branda? È assurdo!
Sfilo il fazzoletto dalla tasca della giacca e lo strofino sulla macchia. Me la porto al naso. Ci vuole dell’acqua.
«Matte, vado un secondo in bagno.» Non mi considera, è troppo impegnato a tubare.
Il bagno è dal lato opposto del locale. Mi intrufolo nella folla abbassando la testa per schivare un tizio alto il doppio di me che agita i gomiti come se fosse una gallina. Ma non si vergogna?
«Cofa caffo hai da guafdafe?»
«Io non stavo–»
Mi colpisce con un pugno dritto alla mascella che mi ribalta all’indietro. La giacca finisce sotto alle suole di un ragazzetto che si dimena indiavolato. Sollevo la schiena da terra, la camicia mi frusta la pelle con uno schiocco umido. Spero non sia vomito. La mascella mi fa un male cane, la sfioro con la punta delle dita e il dolore mi esplode in tutta la bocca.
Ne ho abbastanza!
Attraverso la calca fino alla porta d’uscita. La ragazza del guardaroba, con un cerchietto con le corna da diavoletta inforcato sulla fronte, mi guarda, abbassa gli occhi e poi li rialza di scatto.
«Ehi! Dove pensi di andare?»
«Via da qui! Non ne posso più, è la peggior serata della mia vita.»
«Grazie del complimento, ma non credere che otterrai uno sconto di pena adulandomi.»
«Sconto di pena? Mi prendi per il culo? Non è proprio serata!»
Agguanto la maniglia della porta e la abbasso.
«Perché la porta non si apre?»
La ragazza mi squadra. «Perché è finta.»
Sgrano gli occhi. Prendo la maniglia con entrambe le mani e tiro con forza. Faccio un passo indietro e do una spallata all’anta. Sembra un muro di mattoni.
«È tutto inutile.» Sogghigna.
«Voglio andarmene! Non puoi obbligarmi a rimanere qui.»
«Beh, a dire la verità posso.» Spalanca le braccia verso la pista da ballo. «Benvenuto all’inferno!»
Deglutisco. «Dove?»
«Al tuo inferno personale! Non sei stato uno stinco di santo da vivo, immagino.»
«Da… da…»
«Da vivo! È il tuo primo giorno? Forse ora sei un po’ spaesato, ma non ti preoccupare, mi prenderò io cura di te.»
Mi pizzica la guancia con le nocche.
«Spero apprezzerai la prossima canzone.»
Le casse strepitano le note di Disco Inferno a volume folle.
«Goditi la tua dannazione.» Mi soffia un bacio e un sorriso orribile le deforma il viso. Gli angoli delle labbra sfiorano le orecchie e i denti appuntiti scintillano alla luce dello strobo.
Faccio un passo indietro e la folla mi agguanta, mi palpa, mi trattiene in questa discoteca, dove sarà solo pianto e stridor di denti per l’eternità.