Domani inizia la vita

Mi riparo gli occhi, il sole del pomeriggio è accecante.
L’Istituto Tecnico Commerciale Enrico Fermi è un mostro scuro che si staglia sul cielo e sulla mia esistenza.
Apro di slancio il portone come in un western e aggredisco a lunghe falcate il corridoio verde che ho consumato per cinque anni.
C’è ressa.
“Dai, Tino, muoviti! Spingi o facciamo notte!” Luca mi si appoggia alla schiena con tutta la sua massa da rugbista e sfondiamo la barriera di zaini sudati che ostruisce la bacheca dei risultati.
Sono in prima fila, in ginocchio.
Meta.
“Bravo, Tino, sempre il solito coglione, fino all’ultimo giorno.” La voce del Mantovani – secchione di merda – mi arriva da dietro, insieme ad applausi, pernacchie e qualche risolino, ma non me ne frega un cazzo. Ci fosse Eva Henger in costume pronta a rapirmi, non la vedrei nemmeno.
Il cuore rulla come la batteria dei Metallica e mi appoggio coi palmi al vetro per reggermi in piedi, simulando sicurezza.
Numeri e nomi si incrociano.
‘Martino Tabba… 63.’
Cazzo sì.
‘Merda, ce l’abbiamo fatta!” La manata di Luca è uno tsunami. “Sessantuno spaccati.”
“Uno in più di quello a cui puntavi, asino.”
“Chirurgico. Adesso vacanze e poi si va a fare l’idraulico con pa’.” Luca mostra il dito medio al muro dei voti.
“E che cazzo ti sei diplomato a fare?”
Luca fa spallucce. “Per far felice ma’. Dimostrarle che qui dentro c’è un cervello.” Si batte le nocche sulla tempia.
“Lì dentro c’è al massimo un frullato di merda, con tutte le botte che hai preso.” Schivo la manata, che mi sfiora soltanto. “Col cazzo che ho buttato cinque anni. Io ‘sto pezzo di carta lo uso eccome, è la mia via di fuga.”
“Sì, per pulirti il culo. Ma ora leviamoci dal cazzo.”
“Spe.” Fotografo il risultato con la polaroid. “Questa è storia, da sbattere in faccia a mio Padre. Andiamo.”
***
Il sole picchia come un vero stronzo, ed è mezz’ora a piedi per arrivare a casa.
Per fortuna Luca fa ombra.
“Che poi, Tino, te sei pure un coglione, perché ami cucinare.”
“Ma va. Ora sono un uomo libero, basta sabati mattina al bar di zia Rosina e serate a condire pizze da zio Rocco. Mi trovo qualcosa, logistica, magazziniere, fabbrica.”
“Allora vedi che il diploma non serve a un cazzo?”
“E, vabbè. Per la società almeno ho finito di studiare. Quel che conta è la vil moneta. Mi compro la macchina, mi trovo un buco tutto mio.”
“Va che mica è così facile.”
“Mi dividerei pure un monolocale con uno sfigato come te.”
“Ma vaffanculo!” Senza fermarsi, Luca mi mostra il suo enorme sorriso, orfano di un canino. “Che non sarebbe nemmeno un’idea di merda, ma fidati che te devi lavorare con tuo padre, al ristorante. Ce l’hai nel sangue.”
“No.”
“Parli solo di cucina, non sai niente di nient’altro.”
È vero. “Ma è una vita di merda. Non voglio finire come mio padre, non lo riconosco nemmeno più.” Tento di buttar giù il nodo che mi attanaglia la gola. “C’è solo il lavoro. E mia madre non regge più. Non durerà.”
Luca non sorride più, come se una nuvola passeggera gli avesse strappato l’allegria. Anche il sole sembra picchiare meno. “Va bè. Intanto, prima di prendere decisioni, devi dirlo a tuo padre, e non credo tu abbia le palle per farlo.”
Stavolta sono io a tirare un cazzotto sulla sua spalla.
Il ristorante incombe sul lato destro della strada, un altro mostro di cui devo liberarmi.
“Sei arrivato a casa, in bocca al lupo!” Luca fa il saluto militare e si allontana, camminando all’indietro. “Se sopravvivi a tuo pa’, ci vediamo al pub stasera. C’è da festeggiare.”
Rispondo al saluto e annuisco, poi mi incammino tra le siepi che portano all’ingresso.
Casa.
Ironico che Luca l’abbia chiamata così, ma è dove passo tutto il mio tempo. Papà mi ha insegnato cose fighe, nessuno della mia età sa fare una parmigiana, o gli gnocchi freschi. I tortellini a mano. Quasi nessuno, e comunque non così buoni, e questo mi rende orgoglioso.
Ma io devo vivere, non posso passare tutta la mia vita tra quattro mura come i miei, perdermi tutto, amici, divertimento, ragazze, le uscite di sera.
Sono così in paranoia che mi ritrovo oltre la soglia della cucina prima di rendermene conto, ridestato dal profumo di rosmarino.
Mio padre mi fissa e, senza dire una parola, mi lancia il grembiule, nero e intonso.
“Stasera siamo io e te.”
“Pa’…”, cerco nelle tasche la testimonianza fotografica del mio passaggio all’età adulta. Col cazzo che lavoro stasera, sarà una sbronza epica e Luca dovrà portarmi a casa in spalla.
Non qui, la mia vera casa.
“Mamma è stata male.”
Merda. “Dov’è?” Mi manca il pavimento sotto i piedi.
“Ora sta bene. Ma è in ospedale, deve riposare.”
“Dobbiamo stare lì con lei.” Mio padre può essere uno stacanovista, ma non così miope ed egoista. Sbatto i pugni sull’acciaio del pass.
“Tanto c’è Tino a sostituirmi. Sono tempi brutti, dovete aprire ‘sta sera.”
“Che vuol dire?” Sento le unghie che mi si piantano nei palmi.
“L’ha detto lei. Ti manda un bacio.”
Tiro su col naso – dev’essere un ritorno di allergia – e rimetto la foto in tasca.
Forse la mia nuova vita può iniziare domani.
 
(Immagine di copertina creata con chatgpt)