
Il retrobottega è buio e puzza di muffa. La Vecchia farfuglia in un dialetto incomprensibile, conta le banconote, infine porge una ciotola piena di un intruglio verdastro.
«Hai due minuti» dice con voce roca. «Due minuti per trovare il Bambino Che Piange e portarlo in salvo.»
Fabrizio annuisce. È un uomo d’affari, Fabrizio. Un uomo di successo. Uno che non dovrebbe starci in quell’edificio fatiscente, in quel paesino di montagna dimenticato da Dio. Ma ha sentito parlare della Vecchia. E ha abbastanza soldi per pensare che tentare non costi nulla.
Due minuti. Quanto può volerci a trovare qualcosa che è già dentro di te?
C’è una vecchia poltrona, sbilenca sul pavimento irregolare, che sembra il residuo di un lusso lontano nel tempo. Fabrizio vi si lascia cadere e beve dalla ciotola.
Fabrizio è al centro di una grande piazza. Oltre a lui, non c’è anima viva. Intorno, dei grattacieli che gli ricordano quelli che ha visto quella volta che è stato a Dubai. Le forme però sono un po’ più minacciose, i colori un po’ più cupi. Il silenzio è totale. Fabrizio non pensava che nella sua testa potesse esserci un posto così grande e così desolato.
Una figura passa a pochi metri da lui. È una ragazza che Fabrizio aveva conosciuto all’università. Non ha mai avuto il coraggio di chiederle di uscire insieme. Potrebbe farlo adesso che è un uomo di successo. Ma il tempo è poco e lui deve trovare il Bambino Che Piange.
Fabrizio non sa come ha fatto a spostarsi. Ma i grattacieli sono diventati alberi e adesso è in mezzo a una foresta. L’umidità rende faticoso respirare. Sente delle voci. Si guarda intorno; vede che ogni albero ha rami simili a tentacoli con cui stritola persone. Fabrizio vede uomini e donne contorcersi e urlare mentre cercano di liberarsi da quelle strette. Alcuni sono volti che conosce, altri dei perfetti sconosciuti. Tutti gli chiedono aiuto. Tutti sembrano aspettarsi qualcosa da lui.
Fabrizio si mette a correre. Il tempo è poco e lui deve trovare il Bambino Che Piange.
Il Bambino Che Piange è seduto su un’altalena in un parco giochi. Avrà cinque o sei anni. Quando lo trova, Fabrizio rimane attonito. Riconosce quella voce: è quella che urla nella sua testa quando si sveglia di notte, terrorizzato da incubi che non ricorda mai. Quella che gli dice di scappare dalle occasioni sociali, quella che deve tenere a bada per non cedere al panico ogni volta che parla in pubblico. E riconosce quel volto: lo vede ogni settimana, quando va a trovare sua madre, nelle vecchie foto incorniciate sui mobili del soggiorno.
Fabrizio ha sempre ricordato poco della sua infanzia. Qualche volta si è chiesto se ci sia stato qualche trauma che ha rimosso, ma gli sembra improbabile. Dovrebbe ragionarci meglio, capire perché il Bambino Che Piange sta piangendo. Solo così potrebbe portarlo in salvo.
Ma il tempo era poco ed è finito.
Fabrizio si risveglia. Vorrebbe mettersi a urlare, scongiurare la Vecchia di aiutarlo. Ma Fabrizio è un uomo adulto, di successo, rispettabile. Si ricompone subito. Saluta educatamente. Esce dall’edificio, recupera la sua auto nuova e lucente, si avvia verso la città e verso casa. Sa che questa sera dovrà ubriacarsi per riuscire a dormire.
Nel retrobottega buio che puzza di muffa, la Vecchia sorride. Sa che l’Uomo di Successo pagherà ancora molte volte per il suo intruglio verdastro.