Due parti del mondo

Lascio che portino via Omar. Gli infermieri mi parlano, ma non riesco ad ascoltare: come si può chiedere a un padre di farsi da parte quando suo figlio sta morendo, come si può mostrargli l’orario delle visite e pretendere che si attenga alle regole dell’ospedale? Veglierò su di te, figlio mio, questo non è il nostro ultimo abbraccio. Dio è grande. Come io amo te, lui ama noi, noi che siamo così piccoli eppure sappiamo amare così tanto.
 
Largo, fatevi da parte: il mio bambino è ferito! Dov’è quella baldracca della dottoressa? Ah, io vi ammazzo tutti se non prendete subito in cura il mio tesoro! Eccola, la battona! Guai a te se non lo guarisci, ha avuto un grave incidente in strada, qualche pazzo drogato guidava senza riguardo per la sicurezza e il mio bambino si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato!
Non mi importa se sembra stare bene e ha solo qualche osso rotto, voglio che abbia le cure migliori e subito, non bado a spese!
 
La luce della sigaretta illumina i baffi del dottore. Sulle nostre teste gira un ventilatore da soffitto, fa così caldo che anche le mosche sembrano sudare.
Dio è grande, mi ha permesso di baciare le mani al medico di mio figlio, quelle stesse mani che gli asciugano il sangue e lavorano per lui notte e giorno. Non è giusto che debba farlo lui, vorrei essere capace di curarlo io stesso, ma non posso. So a malapena leggere il Corano, ma il dottore ha studiato in India. Mi fissa con occhi stanchi, poveretto, lavora senza sosta a costo di rimetterci il sonno e la salute. Mi mostra le lastre, anche se per me sono solo macchie senza senso, mi fa un discorso su quanto la situazione sia incerta: i macchinari dell’ospedale non sono abbastanza definiti per scattare foto buone, la diagnosi non è chiara. Khartoum non è l’Europa, o l’America, qui dobbiamo confidare in Dio, prima che nella scienza. Ascolto queste parole come fossero il rumore delle onde del mare, un suono inevitabile, che mi entra dentro e si porta via qualcosa.
Ma Dio è grande, Omar è nelle sue mani, e ho fede in lui.

 
Cosa vuol dire emorragia interna? Razza di lurida mentecatta, odio il tuo rossetto e il tuo trucco da baldracca! Doveva avere solo qualche frattura e ora rischia la vita? Voglio certezze! Non vaghe teorie! Dimmi, dov’eri stanotte? Hai lasciato il mio tesoro qui da solo? Al solo pensiero.. No, non posso immaginare la mia vita senza di lui. Certo che lo devi portare alla tua clinica di Milano, costi quello che costi il mio bambino dovrà avere le cure migliori, non bado a spese! Chiamo subito il mio avvocato, voglio che sappia tutto quello che stai facendo, dovesse andare qualcosa storto io ti levo anche le mutande, tanto sei abituata a togliertele di continuo, puttana che non sei altro!
 
Le onde del mare mi travolgono dentro, scavano e lasciano il vuoto. Il dottore ha la sua sigaretta tra le dita, la sua voce è calma, tranquilla. Sembra insensibile, ma lo fa per proteggersi e non sentirsi in colpa.
Omar è morto, Dio l’ha chiamato a sé. Non posso fare altro che supplicarlo di non farmi vivere troppo, non voglio stare in questo mondo senza di lui.
Il viso di mio figlio è così sereno, pare che dorma. Mi metto in ginocchio accanto al letto, stringo le lenzuola nei pugni.
Dio è grande, mi porterà presto da te, figlio mio. Perdonami se sono ancora vivo, ti darei la mia vita, ma non posso. Ho fatto quello che potevo, il dottore ha fatto l’impossibile, ma il male era troppo grande e avevamo così poco per combatterlo!
Sarò presto con te, figlio mio.

 
Eccolo! Eccolo, il mio bambino! Ma come ti hanno conciato? Eri così bello, e ora ti tocca tenere addosso questo stupido collare a cono! Ma tu riconosci la mamma, vero? Me lo dai un bacetto? Ah, la tua linguona sulle mie labbra mi scalda così tanto il cuore!
Mi è costata una piccola fortuna farti guarire, grazie a me quella puttana della tua veterinaria potrà comprarsi sei quintali di botox e farsi un culo nuovo, ma non voglio pensarci. Nella mia vita ci sei solo tu, Rex, bello della mamma.