Era una notte buia e basta

«Sbrigati! Quanto ci metti ad arrampicarti fino a qui?» sibilo. Nella notte anche il suono di un bisbiglio sembra rischiare di farci scoprire. Mi risponde con astio, stremato dallo sforzo di issarsi su per la parete di pietra. Colgo solo un vaff, poi le altre voci, da basso, iniziano i soliti bisticci.
«Sssh!»
«Metti il piede in quella fessura!»
«No, più sopra!»
«Sssh!»
«No, sposta invece la mano verso la corda!»
«Corda? Quale corda?»
«Quella non è una corda?»
«Se non ci vedi fin là, cosa suggerisci a fare?»
«Volevo sentirmi utile, ecco.»
«Utile un corno. Avresti dovuto restare a casa, cretino»
Sento partire la prima sventola, ricambiata subito dopo.
Un attimo più tardi il primo di loro scavalca volando il parapetto, l’espressione terrorizzata. Atterra come un sacco di stracci, ma ha il buon senso di non gridare.
Io mi sporgo dalla finestra e lo vedo svettare.
«Azzurro? Che ci fai qui?» bisbiglio.
«Lancio nani.» Detto fatto acchiappa e solleva Gongolo per collottola e cinta, gli fa prendere la rincorsa e oplà, lo proietta in aria verso la finestra. Faccio appena in tempo a scansarmi che il poveretto atterra di fianco al primo.
«Hei, tu! Non è carino chiamarci nani» gli dice Dotto. È piantato a gambe larghe davanti al principe e lo minaccia con un dito.
«Allora a te non ti lancio» ribatte Azzurro mentre fa eseguire a Cucciolo una prodezza balistica, per poi afferrare Eolo.
Dotto abbassa veloce il dito e lo nasconde dietro la schiena.
«Oh… ok, per questa volta passi. Ma che non succeda mai più.»
Tre minuti più tardi siamo tutti nel castello.
«Ora dove si va?» chiede Mammolo.
«Voglio vedere le segrete!» esordisce Gongolo.
«Io voglio vedere la camera da letto» sbadiglia Pisolo.
Azzurro si avvicina e mi bisbiglia in un orecchio: «Voto anche io per la camera da letto.»
«Sicuro? La vecchia senza dentiera è per stomaci forti.» Lo sento rabbrividire anche al buio.
«Andate dove cazzo vi pare, io sto qui» brontola Brontolo.
Non lo farà.
Prendo la guida della spedizione: sono l’unica che conosce il castello.
Manco da un po’, ma nessun angolo mi è ignoto e anche al buio riconosco ogni oggetto, ogni porta persino ogni sbeccatura del pavimento. Procediamo tenendo il fiato, un passo dopo l’altro, badando a non farci scoprire. Qualche passo strascica, qualcuno tira su col naso, qualcun altro pesta un piede a qualcuno che non apprezza. Vola uno scappellotto. In cinque fanno: «Sssh!».
«Devo andare in bagno» pigola Cucciolo.
Sospiro; l’impresa sembra disperata.
Quando arriviamo alle scale mi volto.
«Dobbiamo salire.»
Colgo il malumore nei mugugni. Non amano le scale.
Sono quattro rampe fino alla mia stanza, quattro rampe di scricchiolii e sbuffi.
Per fortuna ho una copia della chiave. Apro.
La stanza è come l’ho lasciata, solo piena di polvere. Trovo il libro a occhi chiusi. «Eccolo!»
«Perché te lo ha nascosto?»
«Lei è fatta così, è la sua natura. È invidiosa.»
Lo poggio sul pavimento, aperto. L’immagine del bosco brilla.
Uno per uno con un salto torniamo dentro il libro, così la favola può ricominciare.