Fajah

Brividi gli risalivano lungo la schiena, così intensi da farlo sussultare, ma non era per via dell’aria gelida che filtrava dalle assi della baracca. Non soltanto, almeno.
Tahir si portò la mano sinistra all’altezza degli occhi. Solo due dita erano rimaste, le altre non c’erano più, una poltiglia sanguinolenta a testimoniarne l’assenza.
Davanti a lui, nel braciere, le fiamme danzavano sempre più basse. Oltre la le spire di fumo, Oluwafemi lo scrutava in silenzio, gli occhi ridotti a due fessure nocciola.
Tahir appoggiò la mano accanto al braciere, l’indice teso in avanti. «Ancora.»
Oluwafemi chinò la testa di lato. «Ne sei sicuro?»
«Ancora.»
Il Demiurgo annuì. Alzò la lama e la calò sul dito.
Il dolore attraversò tutto il braccio, un’unica fitta fino al collo, alla testa, a ogni singolo dente. Tahir lottò per non vomitare.
Oluwafemi afferrò il dito che rotolava sul pavimento e lo lanciò nel braciere. Le fiamme accolsero l’offerta e ricambiarono con una nuvola di scintille.
Tahir socchiuse gli occhi, la testa girava. Nel fuoco e nel sangue Oluwafemi il Demiurgo stava plasmando per lui un nuovo mondo.
 
Cammini sulla spiaggia lasciando a ogni passo il tempo di affondare nella sabbia fine, quel tanto che basta a solleticare i talloni. Il mare è di un azzurro così chiaro che pare di poter contare i coralli a un tiro di freccia di distanza.
Passi alle tue spalle, ti volti di scatto. Alyssa emerge tra le palme, un sorriso disegnato sul viso liscio. Senza i segni delle battaglie. Senza i segni delle torture.
Ti raggiunge con calma, scivolando sulla sabbia come se neanche la sfiorasse. Posa una mano sul tuo petto. «Cosa fai qui tutto solo?»
«Rifletto. Mi preparo.»
Sorride. «A che cosa?»
«Non lo so. A una battaglia, forse?»
«Una battaglia?» I suoi occhi si gonfiano, increduli. «E contro chi vorresti combattere?»
«Non siamo in guerra?»
Lei scuote la testa.
«E gli invasori pallidi, con le loro navi? Non sono mai giunti?»
Ancora, fa cenno di no.
Incredibile. Che sia la volta buona? Deglutisci, resta un’ultima domanda da fare. «E Fajah? Dove sta?»
Alyssa si irrigidisce, indietreggia di un passo. Il sorriso si trasforma in una smorfia cupa.
No.
«Fajah..?» Lasci che la tua voce sfumi in un lamento.
«Tahir, non ricordi?» Gli occhi di Alyssa si fanno umidi. «L’infezione… la febbre…»
No, no, no.
«Devo andare.» Ti volti per evitare il suo sguardo. «Non ha più senso stare qui.»
«Amore, cosa..?»
«No!»
Urli.
Rompi.
Torni.

 
Tahir si chinò in avanti, schiuma e bile sfuggivano dalla bocca lasciandosi dietro una scia acida. Qualche secondo per riprendere fiato.
«Niente?» Oluwafemi stuzzicò le fiamme con un legno.
Tahir sputò, scosse la testa. «Non era il mondo giusto.»
«Vuoi fermarti?»
Tahir fissò l’ammasso bruno che un tempo era stata la sua mano sinistra. Socchiuse gli occhi, prese fiato. La posò accanto al braciere, il pollice rivolto in avanti. «Ancora.»
A costo di cedere ogni pezzo del suo corpo.
Centinaia di mondi da esplorare.
Ne avrebbe trovato uno, almeno uno, in cui sua figlia era ancora viva.