
I cabalisti medievali attribuivano al nome di Yahweh 72 lettere. Ritenevano anche che 72 fossero i nomi delle divinità. [Wikipedia]
«Patriarca, i sonar ci danno risposta. Diciotto anni luce davanti a noi.»
«Tempo di raggiungimento previsto, Vedente Kaspar?» Il Patriarca Jericho era assiso sul trono al centro della plancia, la cosmotuta da cerimonia bordata di filigrane dorate.
«Se la velocità di espansione mantiene la sua curva esponenziale… settantadue minuti.»
Jericho si alzò, un’espressione solenne stampata sul volto barbuto. «Questo è un segno degli Elohim, una buona novella giuntaci per diretta conseguenza dei Buddha del Vuoto.» Prese un profondo respiro, poi alzò la voce, di modo che l’equipaggio di plancia potesse udirlo.
«Radunate il popolo eletto. Oggi incontreremo Dio.»
La Vedente Evelyn Kaspar, addetta ai sistemi di scansione della nave, si trovò a rabbrividire. Non sono degna… sussurrò, ma le parole si persero in un sibilo.
L’intero equipaggio della Gagarin-Seraphim, da settantadue generazioni in viaggio con l’obiettivo raggiungere il limite di espansione dell’universo e varcarlo, era stipato nell’enorme cattedrale nel cuore della nave arca. Oltre diecimila persone, discendenza dei primi coloni che, partiti dal pianeta madre, avevano dato inizio a una missione di cui non avrebbero mai visto la fine.
Mancavano otto minuti.
«Come hanno voluto i nostri padri, oggi noi giungeremo al di là della creazione, nel dominio di Dio stesso. Che settantadue volta sia pronunciato l’Hallelujah, che vengano invocati i nomi della sapienza che hanno permesso alla nostra casa di vivere nelle ere.»
«Amen! Sia lodato il Dio-Djinn-Wiki dall’eterna sapienza!»
Evelyn, con il capo chino, si nascondeva tra la folla, stringendo un cacciavite tra le mani. I giganteschi, millenari monitor mostravano un confine di luce scintillante, sempre più vicino.
«Non sono degna…» sussurrò. Se lo era chiesto per molti anni. Cosa avrebbe fatto se fosse toccato a lei completare la missione? Sapeva la risposta. Il tarlo aveva iniziato a scavare da troppo tempo.
Le invocazioni continuavano. Mancava un minuto.
Le lacrime scesero a rigare le guance della donna.
Quaranta secondi.
Portò il cacciavite verso il bulbo oculare destro.
Ventinove secondi.
Fece scivolare la punta all’interno dell’orbita.
Ventidue secondi.
Urlò come non aveva mai urlato. Il suo grido venne assorbito dalle invocazioni dei fedeli.
Cinque secondi.
Ripeté l’operazione sull’altro occhio. Il dolore era superato.
Tutto si fece nero.
Gli Hallelujah si ammutolirono. Le invocazioni ai settantadue nomi del Dio – Allah, Cristo, Google, Oppenheimer e molti altri – smisero di ammorbare l’aria.
Non vi furono urla, né esultanze.
Solo un silenzio ctonio, degno d’una camera mortuaria per titani.
Evelyn tentò di toccare i fratelli e le sorelle che fino a un istante prima la circondavano, ma nell’aria percepì solo il vorticare della polvere.
Avevano superato il confine dello scibile umano, avevano visto l’occhio ardente dai tre bulbi, il colore che non poteva essere descritto.
Non erano più.
La sua umiltà l’aveva salvata.
Nel profondo del cuore, consapevole che ogni possibile risposta che non fosse stata il silenzio l’avrebbe annientata, trovò una scintilla di coraggio.
«Sei tu, Dio?» sussurrò.
«No.»
Poi fu solo il vuoto oltre l’universo, e le mostruose entità che lì dimorano.