
Se riesco a camminare fino a lì senza toccare le linee di queste piastrelle ho vinto!! Siiiì!!
Quando ero bambino mi sedevo al centro della mia stanza e sognavo che il pavimento fosse fatto d’acqua scura, i decori delle piastrelle erano le onde.
Di scatto allora mi alzavo e mi affannavo a salire sul letto, al riparo dal coccodrillo di Capitan Uncino. Tendevo l’orecchio in attesa del suono soave delle sirene che avrebbero pietrificato tutti i miei nemici e tratto in salvo solo me: nessuno che canta così può essere davvero cattivo.
Il mio mondo era tutto lì, nelle parole della mamma, che mi rimboccava le coperte inventando per me le storie di un mondo che non c’è, dove i buoni non soffrono- ce la fanno sempre!- e i cattivi, alla fine, non sono poi così cattivi, e delle loro azioni si rendono conto e si pentono.
Ho iniziato a crescere credendo che tutti possano redimersi, che le cose belle siano dietro l’angolo e basti solo allungare abbastanza la mano per avere diritto a prenderne un poco. Sarebbe stato bellissimo, se solo fosse durato ancora, altri cinque minuti, come la mattina, quando suona la sveglia,chiedo quel tempo per rinchiudermi di nuovo in un rassicurante sonno, concludere i miei sogni e sospenderli, ancora un poco.
Se riesco a camminare fino a lì senza toccare le linee di queste piastrelle, ho vinto.
La scuola non è stata l’avventura che credevo. Non mi piacciono “gli altri”. Io sono l’unico bambino a casa mia e forse i miei adulti non lo sanno che sono un bambino. Dico che non lo sanno perché non mi hanno mai trattato come vedo che i genitori dei miei compagni di classe trattano loro.
Non hanno mai cercato di inculcarmi idee, non mi hanno mai trattato da cretino. Hanno sempre rispettato il mio essere “persona”, e della mia famiglia so tutto, anche le verità scomode.
Quale è il momento in cui non si è più bambini?
Quando ti danno il bicchiere di vetro e il coltello che taglia oppure quando ti dicono cosa è o non è corretto?
“È solo un bambino”
Sì, era solo un bambino. Anche io. Eppure mi ha quasi cavato un occhio, perché l’ha fatto?
“Io non lo so: lo chieda al bambino” si è sentita rispondere mia madre quando ha ottenuto una voce al telefono.
Ha riattaccato. Ha detto: “Mi dispiace” e mi ha abbracciato. Non porterò- di questo episodio- cicatrici visibili. Non le porterò sul viso.
Se riesco a camminare fino a lì senza toccare le linee di queste piastrelle cosa otterrò?
Sono anni che non ci riesco più, maledetti piedi grandi. Ma è possibile svegliarsi una mattina nel corpo di un altro? Perché a me è successo, il primo giorno delle superiori.
È cambiato tutto, le mani, le ginocchia, gli occhi e i capelli. Mio nonno me li sposta con le mani perché li tengo a coprire il viso. Lui vuole vedermi in faccia, io solo sparire, in un suo abbraccio. E non mi so più muovere. Sono pietrificato.
Non riesco. Non ci riesco.
Proprio non ce la faccio ad essere “come gli altri”.
Amo studiare, non mi interessa il calcio. Alle donne ci penso, ma non alla “figa”. Penso al loro modo di sfiorare il mondo rendendolo gentile, come fa mia madre. Penso a Guenda della 2B. Sembra che danzi, mentre scende le scale a scuola. Quando la guardo lo so: non mi vede nemmeno, ma io mi sento tanto come quando aspettavo le sirene.
Vorrei solo che un giorno mi vedesse e mentre guarda da questa parte, mi dicesse: “Ciao Peter!”