Ho bisogno del tuo aiuto

Vanessa apre la porta dell’appartamento. Gli occhi gonfi si piantano nei miei, tira su col naso. «Ho bisogno del tuo aiuto, Tommaso. Non sapevo chi altro chiamare.»
La striscia di matita colata lungo le guance le arriva fin sulle labbra. Cristo Santo, che le è successo? Non l’ho mai vista in questo stato. Si stringe l’accappatoio troppo largo sul petto, sotto indossa ancora i collant.
«Ho fatto più in fretta che potevo. Cos’è successo?» Da una stanza sulla sinistra si irradia una luce fredda. Altre quattro porte si affacciano sul corridoio. Non sono mai stato a casa sua, mi dispiace che la prima volta sia in un’occasione del genere.
Vanessa barcolla fino al soggiorno illuminato, appoggiandosi al muro passo dopo passo. Un grosso divano a penisola color vinaccia occupa tutta la stanza. Il televisore al centro del mobile a muro trasmette Italia’s Got Talent a volume altissimo. Frank Matano sghignazza e applaude lo sketch di un ragazzino che avrà la metà dei miei anni.
Vanessa attraversa la stanza e si lascia cadere sui cuscini. Rannicchia le gambe al petto, prende un respiro profondo. L’accappatoio scivola giù e scopre le cosce e le autoreggenti bucate.
Stamattina in ufficio non faceva che parlare dell’appuntamento di questa sera, doveva cenare con un tizio conosciuto su Tinder. Non è difficile immaginare cosa sia successo.
Che razza di maniaci depravati.
«Ne vuoi parlare?»
Stringe le labbra e mugugna.
Ok, meglio non insistere. Mi siedo accanto a lei, le prendo la mano e l’accarezzo per calmarla.
Vanessa sistema meglio l’accappatoio e si stringe nelle spalle.
«Hai freddo, Vane?»
«Un pochino.»
«Ti prendo una coperta.»
«Non serve.»
«Ma stai tremando.» Mi alzo in piedi e faccio il giro del divano. «Dove la trovo?»
«Io non… non lo so.»
Deve essere davvero scossa. Forse è meglio se la porto al pronto soccorso, così le daranno qualcosa per tranquillizzarla.
Entro nella porta di fronte al soggiorno e accendo la luce. Sul tavolo della cucina ci sono un paio di confezioni di pop corn da microonde e una bottiglia di birra vuota. Il frigo ronza in un angolo.
Alle mie spalle i passi di Vanessa si avvicinano. Gli occhi stravolti, le mani che tremano, l’accappatoio aperto sulla maglietta dei Rolling Stones macchiata di sangue. «Portami a casa.»
«Vanessa, siamo già a casa tua, ricordi? Mi hai chiamato perché avevi bisogno del mio aiuto.» La prendo per un braccio e la riaccompagno in soggiorno. Deve essere sotto shock. La faccio sedere e tiro fuori il cellulare dalla tasca. «Chiamo qualcuno che sappia cosa fare.»
Scuote la testa come un bambino terrorizzato. «Ti prego, non farlo!» Mi artiglia il polso e mi fa cadere il cellulare sul marmo.
«Ehi!»
«Non chiamare, non chiamare, non chiamare!»
«Ok, ok. Non chiamo, tranquilla.»
Porto le mani al viso e mi massaggio il ponte del naso. Dio, che serata. «Hai voglia di sfogarti un po’? Credo ti farebbe bene.»
Annuisce e si passa la lingua sulle labbra secche. «Sono uscita a cena con Gabriele. Abbiamo mangiato una pizza al Vesuvio, poi mi ha invitata da lui a vedere un po’ di TV. Voleva portarmi a letto, era chiaro, ma l’idea non mi dispiaceva. Mi ha fatta sedere sul divano e ha preparato dei pop corn.» Vanessa si gratta il polso, rosso ed escoriato. «Abbiamo bevuto una birra, ma già a metà mi sentivo la testa leggera, ridevo per qualsiasi cosa. Mi ha detto vieni di là e io l’ho seguito in camera. Ha cominciato a baciarmi e a toccarmi tra le gambe.» Si sfiora le cosce e sale con le dita. «Mi sentivo a disagio e gli ho detto basta, e lui non ha smesso. Allora ho gridato ma continuava a toccarmi e mi teneva giù, contro il materasso, e mi tappava la bocca con la sua.» Un singhiozzo la interrompe.
«Vane, io… mi dispiace tanto per quello che è successo. Uomini così meriterebbero di essere castra–»
«Allora l’ho colpito con la bottiglia, dritto in testa, e si è fermato.»
«Co-cosa?»
«Credo di averlo ucciso.» Fa segno di sì con la testa e sorride. «È per questo ho bisogno del tuo aiuto, Tommaso.»