Hypnos

Inspira. A fondo, così.
Di notte, le suburbia di Nuova York hanno sempre quest’odore. Di malattia e di marcio. E di droga, da seguirne la scia.
Ti ricordi? È qui che ti hanno fottuto alla grande.
Che stupido. Avresti dovuto capirlo. Nessuno offre il paradiso gratis. Purtroppo, quando vai in astinenza, non mi ascolti mai.
Non te lo ricordi, vero? Beh, io sì. E non è stato un bello spettacolo.
So cosa ci hanno fatto fare, lui e quel dannato Hypnos.
 
Lo stronzetto ha la sua tana nel distretto abbandonato. A due passi dalla fogna da cui pesca i suoi ratti da laboratorio. Piccolo boss insignificante, uno sputo di porco tra i disgraziati. Senza offesa.
Cammina dritto verso quel palazzo. Attento, schiva la puttana. Non hai tempo per trastullarti. Sono altri strilli che vuoi sentire, ben altro godimento che vuoi provare.
Comincia a slacciare il parka. I pugnali sono lì, nell’occhiello interno. Sporchi.
Stringi bene in mano il sacchetto di plastica, che non coli.
Inspira, a fondo, così.
Sì, è sangue, quello che senti.
Sangue non tuo.
 
La guardia alla porta ti lascia passare. Non fissarlo, agisci come al solito! Strafatto di Hypnos. Come uno zombie. Devi essere credibile.
Guarda che schifo di anticamera. Cristo, puzza più dei vicoli. Stanotte c’è più gente del solito. Tante schegge di specchio che riflettono la tua immagine, stretti l’uno all’altro, sul pavimento.
Guardali.
In attesa della loro dose di Hypnos, impotenti involucri che aspettano di essere comandati come burattini. Scagnozzi improvvisati per il lavoro sporco. Per uccidere.
Ma tu no. C’è voluto un bel calcio in culo da parte mia, anche se in ritardo, ma ti sei svegliato.
Scansali. E smettila di invidiare la loro amnesia.
Il leccapiedi di piantone è armato. Mano sulla fondina, brutto segno. Zitto, sguardo basso…
Si scosta.
È andata, siamo dentro.
Smetti di fissare le due guardie del corpo. Guarda invece la scrivania, la poltrona… No, non lui. Non guardare lui.
«Ehi, chi si rivede. Già finito col lavoro?»
Posa il sacchetto. Senza lanciarglielo. Posalo e basta. Lento. Per lui tu non hai memoria, solo ordini nella testa, scanditi dall’Hypnos. Non sa che ricordi tutto. Io ricordo tutto.
Mentre lui scarta quel macabro regalo, pensa a chi colpire per primo. Non distrarti. Non pensare alla mano mozzata, non guardare quel bastardo mentre la fissa…
Ride.
Il figlio di puttana ride.
E’ una mano di donna, e lui se la ride.
Una donna che hai ucciso per un suo comando. Davanti alle figlie, prima di sgozzarle. Disgraziate senza colpa collassate dallo strozzinaggio.
E tu le hai sterminate, sotto l’influsso dell’Hypnos. Le ultime di tante. Tante!
«Dategli la sua dose.»
Lascia che i tirapiedi si avvicinino. Così. A tiro.
I pugnali, afferrali!
Non se lo aspettavano. Una lama per lato. Il loro ventre è più morbido di quelle pelle e ossa urlanti che hai squartato qualche ora fa. Non senti il contrasto delle costole, non basta un pugnale per passarli da parte a parte. La bambina ha pianto fino alla morte. Questi invece muoiono in silenzio ed è quello che vuoi.
Ora il boss.
Presto, salta sulla scrivania prima che chiami qualcuno. Prima che spari.
Affonda! Così! Ancora, ancora!
Un fendente per ogni vita che hai spezzato. Più uno, per te!
Lo senti? Il calore che sgorga tra le dita, l’esaudimento del tuo desiderio! Questo è un morto che desideri! Questo è l’unico sangue che vuoi!
Prima di fuggire dalla finestra, strappa la lama dal petto e guardalo! Mentre muore, guardalo! Lascialo comprendere il suo errore, o divertiti a vederlo crepare senza che lo capisca.
Ma non dirlo, no, non dirlo. Lascialo col dubbio. Non ricordargli che le suburbia sono marcio e malattia, e che i derelitti che la abitano sono un po’ strani… a volte, un po’ malati.
Non dirgli che la dose non basta per due.
 
Inspira. A fondo, così.
Che alba, vero? Le suburbia di Nuova York si stanno addormentando. Eppure sai che non è così. Al calar della sera, si tornerà a uccidere per capriccio o per potere.
Ma tu non sei più un assassino. Tu no.
Noi no.