
Dietro il muro in mattoncini rossi erosi dal tempo, oltre la gabbia che un tempo aveva ospitato i gorilla, lo spacciatore aspettava con tiepida calma l’arrivo dei suoi clienti notturni. Lo zoo abbandonato si ergeva come ultima testimonianza di un passato svanito al centro del moderno giardino meccanico. Il barbone Samuel, a piedi scalzi e i capelli unti dal fango, si muoveva nervosamente in attesa del suo turno. In tasca, gli spiccioli racimolati dalle offerte tentennavano sinistramente nell’aria mefitica della sera.
Un ragazzino ben vestito si avvicinò nell’ombra con fare incerto, lo sguardo carico di vergogna.
«Tu che ci fai qua?» gli chiese Samuel in preda ai tic nervosi.
«Cercavo un tizio» cercò di spiegarsi, «Mi hanno detto che lo avrei trovato allo zoo abbandonato».
«Ah tu cerchi la roba. E che roba?» chiese velocemente Samuel, mangiandosi le parole.
«Avevo sentito che qua vendevano una botta di passato» disse il ragazzo con incertezza.
«Ahh ma che bello il passato. Si! Tu l’hai mai provato? Se ne prendi abbastanza puoi tornare indietro di dieci, vent’anni. Cento! Puoi tornare indietro di cent’anni!» gli urlò tutto eccitato prendendolo per la giacca. Il ragazzino tentò di staccarsi ma Samuel lo tenne stretto in preda all’estasi del ricordo. «Io l’ho visto! Gli anni 2000! Proprio qua, dove siamo ora!». Indicò col dito sporco tutte le gabbie vuote. «C’erano gli animali. Le scimmie, le tigri, i leoni. I leoni! Ci credi che sono esistiti davvero?».
«Certo che ci credo».
«Ma non puoi dirlo davvero se non li hai mai visti. Io li ho visti!».
In quel momento, l’instabilità dell’uomo in preda ai deliri del passato spaventò a tal punto il ragazzo che pensò bene di andarsene subito.
«Aspetta dove vai?» gli sussurrò calmo Samuel, dietro di lui, «Dammi tutti i soldi o ti sbuzzo». Il ragazzo si pietrificò e solo la mano si mosse in cerca del portafogli, che allungò prontamente al barbone, prima di scappare.
Il portafogli era pieno di banconote. Con tutti quei soldi poteva andare avanti per sei mesi senza dover elemosinare ogni giorno per farsi. Nella testa del barbone era ancora vivido il ricordo di quel lontano giorno in cui aveva potuto vivere una giornata nel remoto passato degli anni duemila. C’era un’altra questione che stuzzicava il suo appetito insaziabile: quelle nuove pasticche che dicevano ti facessero vedere il futuro. Costavano tanto, tre volte più del passato, ma parevano fossero decisamente più forti.
Quando arrivò di fronte allo spacciatore la decisione era ormai presa: «Dammi una botta di futuro».
Lo spacciatore guardò quella montagna di denaro incredulo. «Ehi Sam, dove cazzo hai elemosinato oggi?» gli chiese. «Con queste ti spari fra un milione di anni» e gli allungò una bustina carica di pasticche.
Il barbone Samuel si incamminò fra le gabbie andandosi a rintanare del buco dove un tempo andavano a dormire i leoni. Si stese nel suo pagliericcio e ingoiò tutte le pasticche. La droga funzionava come un sogno: all’inizio vedevi tutto nero, poi poco per volta prendeva forma. Quando Samuel riaprì i suoi occhi interiori si trovava disteso in mezzo a una terra desolata. La terra liscia e bruna si estendeva con tetra desolazione verso ogni direzione: niente pareva aver mai solcato la sabbia compatta di quel mondo. Dietro il cielo smeraldo brillava un sole rosso infuocato. Sudato e accecato dal bagliore di quella stella nel cielo, si incamminò verso i confini di quello che un tempo era stato il pianeta Terra, all’inutile ricerca dell’ultima presenza umana. La dilatazione interiore del tempo gli fece provare la sensazione di camminare per decine di anni senza incontrare nient’altro che la sabbia e il calore atroce di quel mondo senza atmosfera. Intrappolato in se stesso, in un incubo più orrendo della morte.
Quando al mattino i guardiani del parco lo trovarono con gli occhi e la bocca spalancati in un urlo muto, era ormai morto. Lo rinchiusero in un sacco, gettandolo insieme agli altri rifiuti della città, in direzione dei bruciatori plasmatici.