Il jazzclub di Frank

La gelosia uccide. Di massime così ne conio a dozzine, io che d’esperienza ne ho fatta e son pure imprenditore di successo.
Sto al mio jazzclub e si son fatte le nove: esco dall’ufficio che domina il locale e scendo le scale così distinto che neppure il re d’Inghilterra. Saluto amici, faccio mettere un paio di giri sul mio conto, mi sento stimato.
La band attacca un boogie con uno swing niente male, il contrabbasso pesta sulle corde come un ossesso.
E in mezzo alla pista, li vedo. Lui ha occhiali e capelli a spazzola: un insulso ragioniere, al massimo un venditore di bibbie. Ma lei, ragazzi, è uno schianto e non le togli gli occhi di dosso, con il vestito nero e lo spacco che s’apre ogni volta che il batterista va sul charleston.
Io vedo questi due e mi monta un senso di ingiustizia: che ci fa con lui? Ci son uomini che la meriterebbero e invece stanno con donne ben al di sotto. A partire da me: chi avrebbe detto che Frank Rocca sta con la moglie che si ritrova? E il tipo a spazzola danza tutto impettito, sicuro.
Allora mi salta in testa di fargliela pagare: voglio che torni a casa con la cresta bassa, geloso. Aspetto che il pezzo finisca e i due si risiedano; faccio un cenno ai miei di tenersi pronti.
Arrivo al tavolo, punto la tipa e mi prodigo in un inchino pieno di galanteria; lui manco lo guardo. Le prendo la mano e l’accompagno in pista. Lancio un sorriso alla band, loro vedono che il boss ha bisogno di sentimento, i fiati attaccano e m’esibisco in una danza che solo Frank può fare.
Lei fa un po’ di resistenza; ma sotto leggo che c’è interesse e allora baby, le dico, stasera ti faccio divertire. Sembra lasciarsi andare ma non so, c’ha carattere la tizia.
Poi lascio scivolare la mano, come piace alle donne, le sfioro con galanteria la natica e butto un occhio al tipo per vedere che fa. Quello scatta che nemmeno un ghepardo, ma deve star attento nel club di Frankie: i miei gorilla gli son subito addosso. Sta’ buono, gli diranno, magari ti fai pure un amico.
Allora ghigno e chiedo se vuole un drink, lei accenna al tizio seduto, però io ho un sesto senso che questa ci sta. Le dico che lui non è abbastanza geloso, che un po’ di pepe va buttato nelle relazioni: la tipa ride e andiamo al bar; chiedo un Manhattan per lei e un Bloody per me, che son un tipo sanguigno.
La tipa senza dar nell’occhio mi prende il fazzoletto dal taschino e mi sorride. Il vecchio Frank aveva visto giusto, questa ha carattere. Quando torni, chiedo indicando le scale: domani alle quattro?
Annuisce e torna dal tizio. Finisco il Bloody, li guardo uscire dal locale e penso a quanto inveirà il povero stronzo.
Ma tutto sto ballo m’ha dato alla testa; tempo una mezz’ora e saluto tutti.
Rincaso facendo piano, mia moglie dorme.
E invece me la trovo lì.
E che è, dico io?
Comincia a farmi la solita scenata, solo che oggi è isterica.
Sa cosa faccio nel mio locale, dice.
Zitta donna, bada a come parli.
Ha provato a ignorare, dice.
Calmati, non è serata, dico io. Ho pure mal di panza, mi gira tutto.
Ma lei niente, fa la gelosa; le giuro che non vado con nessuna.
E allora tira fuori il fazzoletto da taschino.
Resto muto. Quella puttana, penso.
L’ho pagata io, dice.
Poi il dolore alla panza cresce. Penso al Bloody Mary, penso alla tipa.
Che mi hai fatto, le dico.
Cado.
Quella mi guarda e piange.
L’ho pagata io, grida.
Che mi hai fatto.