
Laura è davanti al muro che delimita il giardino.
Ci passa le giornate da quando la Dottoressa Marelli è entrata nella camera rossa.
Allora l’albicocco era pieno di fiorellini di un rosa smorto e ora, al loro posto, ci sono le palline verde scuro. Quelle che il sole trasforma in frutti succosi.
Al melo, invece, non sono spuntate che timide foglioline gialle. Manca ancora tanto perché ci si possa mangiare un po’.
Menomale che “casa” si occupa di lei. E lo fa da quando la scienziata ha varcato quella soglia senza più tornare. Anche se Laura l’ha chiamata tanto: due notti intere, piangendo davanti alla porta. Chissà, forse non l’ha sentita!
Al mattino trova sempre sul tavolo di cucina latte caldo col cioccolato e pane imburrato davanti e di dietro.
Tutti i pasti sono saporiti e diversi ogni giorno, sia a pranzo che a cena.
L’importante è non andare oltre il muro.
La Dottoressa Marelli gliel’ha fatto promettere prima si scomparire.
«Qualsiasi cosa accada, non scavalcare. Dall’altra parte il mondo è cattivo!»
Laura aveva obbedito.
O almeno lo aveva fatto fino a un paio di giorni prima: quando si era seduta sulla pietra ai piedi del castagno e si era messa a scrutare il muro. Aveva ascoltato i rumori che provenivano dall’altra parte: il cinguettio degli uccelli, il rumore del vento che attraversava le fronde di alberi lontani, lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli che trascinavano i calessi, le chiacchiere delle signore eleganti che passeggiavano in viali fioriti.
Aveva preso la decisione.
Chissà se quei suoni sono proprio quello che ha immaginato? In fondo non le importa, ha deciso di smettere di essere sola e sa che per raggiungere il suo obiettivo c’è un unico modo.
Quella mattina ha attraversato il corridoio dalla camera al giardino con lo zainetto sulle spalle.
Ha guardato per l’ultima volta i quadri appesi da entrambi i lati e ha provato a memorizzarne i nomi: Vincent Van Gogh – Nidi di uccelli, Fulvio Cavalli – Alberi al vento, Antonio Ligabue – Calesse con cocchiere, Monet – Senitiero nel giardino. Ha deciso di portare qualcosa con sé: anche solo un ricordo.
Ora il muro è lì, pronto per essere superato.
Laura ne fissa la sommità e il cuore inizia a batterle forte: arrivare così in alto le sembra impossibile.
Le parole della Dottoressa Marelli le rimbalzano nella testa e le fanno tremare le ginocchia, mentre infila le piccole mani nelle fessure tra i mattoni. Con la forza delle braccia si tira su e riesce a far presa anche con i piedi.
Il mondo dall’altra parte le sembra d’un tratto più vicino.
L’importante è non cadere e non avere paura, di là non potrà essere così terribile come le hanno voluto far credere. Chissà perché poi? Magari solo per tenerla per sempre sola e prigioniera.
Laura si arrampica con le braccia e si tira dietro le gambe per altre tre volte.
Il fiato è pesante e le mani le fanno così male da non poter quasi più a sostenere il suo peso.
Se non si sbriga ad arrivare in cima di sicuro cadrà.
Guarda sotto di sé, inizia a essere in alto, se vola da lassù si farà male, magari si romperà una gamba e non riuscirà più a tornare nella casa, a bere il latte col cioccolato e a mangiare il pane imburrato davanti e di dietro.
Prende un bel respiro e ricomincia la sua scalata disperata: contro i comandamenti dei saggi, degli adulti, contro il suo corpo che la sta abbandonando, contro tutto quel paradiso che le hanno apparecchiato da quella parte del muro.
Non si arrende e alla fine è in cima, a cavallo della parete, una gamba da una parte e una dall’altra.
Ora le servirebbe un po’ di vento tra i capelli a darle refrigerio, avrebbe bisogno di sentire il pettirosso cantare, vorrebbe vedere le signore eleganti discorrere in un bel viale fiorito e fermare il calesse in mezzo alla strada per chiedergli un passaggio e farsi portare via.
Ma non c’è nulla che possa fare.
Perché oltre il muro c’è solo uno schermo bianco e il resto del mondo non esiste.