Il ritratto di Andrew Walker

Mai avrei pensato ad un simile epilogo per la mia carriera. Né per la mia vita. Mai avrei pensato che le decine di pazienti farfuglianti che ospito nel mio istituto potessero vedere cose che a noi sfuggono. Cose reali, intendo.
Ho condotto il St James Mental Hospital dal 1887, anno della mia nomina a direttore, e per ventisei anni ho avuto a che fare con schizofrenici, isterici, paranoici e allucinati.
Tutto cominciò con l’arrivo dell’ultimo paziente, Andrew Walker, un giovane sordomuto che si esprimeva a versi gutturali quando la sua malattia lo lasciava abbastanza lucido da comunicare.
La famiglia Walker, nome fittizio usato per proteggere la loro identità, lasciò all’ospedale un’ingente somma, a patto che ci prendessimo cura del ragazzo per, cito testuali parole del loro intermediario “molto tempo.”
Pensai al rampollo di qualche ricca famiglia che non voleva infangarsi il nome avendo un malato mentale tra la prole.
Si raccomandò di tenerlo lontano da matite, penne, vernici o qualsiasi cosa potesse usare per disegnare.
Quella richiesta m’insospettì, e unita agli evidenti segni di percosse sul corpo del giovane (alcuni vecchi di mesi o anni) mi fece sorgere il dubbio che quella famiglia avesse ben altro da nascondere che un figlio pazzo. Perché non volevano che il giovano comunicasse con qualcuno?
Andrew non presentava nessun comportamento particolare, al di fuori degli usuali sintomi della sua condizione. Anzi, era il più tranquillo e gestibile dei nostri ospiti.
Un giorno, dopo tre mesi, decisi di dargli un foglio e una matita.
Egli mi guardò incredulo, come un ergastolano a cui viene data la chiave della cella. Prese il foglio con la reverenza di una reliquia e iniziò a tracciare un profilo. Lo osservai sorridere, sbirciandomi mentre disegnava. Mi stava facendo un ritratto.
In un minuto scarso, terminò il lavoro e me lo passò, orgoglioso.
L’immagine, incredibilmente ben fatta e dettagliata, mi fece ribrezzo. Un mostro deforme coperto di squame e tentacoli, sulla pelle s’intrecciavano glifi intricati e senza logica. La barba e gli occhiali, disturbantemente simili ai miei.
Da quel giorno, non posso più avvicinarmi a nessuno dei miei pazienti. Appena mi vedono iniziano a urlare e dimenarsi, le crisi epilettiche si sono moltiplicate e già in due hanno tentato il suicidio dopo un mio tentativo di visita.
Anche il resto del personale mi tratta con deferenza. Percepisco il loro disagio quando sono con me, o quando rivolgo loro la parola. L’altro giorno incrociai nel corridoio l’assistente Greens. Gridò in preda al panico appena mi vide. Lasciò il lavoro la sera stessa.
Andrew Walker è l’unico che tollera la mia presenza. Più volte cercai di comunicare con lui, senza risultato. Si guarda intorno soddisfatto e orgoglioso come avesse raggiunto chissà quale scopo.
La mia pelle sta diventando grigia e dura, strane escrescenze iniziano a spuntarmi sulla fronte. Il ritratto è ancora nel mio cassetto, e ogni giorno assume sembianze sempre più umane.