Il solito muretto

Sogni dal passato che tornano a bussare a un presente dall’oscuro futuro. Quinto classificato nella 115° Edizione di Minuti Contati con Ilaria Tuti come guest star, un racconto di Dand Elion.

 
«Tanto non hai più nulla da perdere, no?»
L’avevo già sentita quella frase, un sacco di anni fa. Tutto era cambiato.
 
Micaela mi guardava con quella smorfia di sfida che l’imbarazzo le stampava sempre sulla faccia. Il labbro leggermente sollevato a sinistra a scoprire un incisivo troppo grosso, che le conferiva un aspetto leporino. La odiavo come si odia qualcuno che si ha molto amato. Micaela era la mia migliore amica, un pezzo di famiglia e la mia peggior nemica: la cosa più simile a mia madre che il mondo abbia prodotto, in tutti i suoi difetti, amplificati dalla giovane età.
L’oggetto del contendere era Geraldo, il nostro amico del muretto. Con quei pantaloni a campana larga, senza orlo, la maglia da basket lunga al ginocchio e il cappelletto da baseball, visiera sulla nuca. I capelli lunghi in una pettinatura veramente inusuale per l’estate del 1999. Qualcuno li chiamava dreadlocks. Qualcuno rasta. Mi suscitavano un misto di ribrezzo e curiosità, quei vermoni di capelli semirigidi. Nessuna di noi sapeva molto di lui, se non che una sera di maggio era apparso al solito posto, al muretto e si era seduto vicino a noi. Nessuno l’aveva invitato, nessuno l’aveva introdotto, ma nessuno l’aveva cacciato. Da quella sera c’era sempre. Il muretto era il nostro territorio, ma non eravamo ostili. Ci si poggiava la sera dopo cena, arrivando alla spicciolata, dopo un: «ma’, scendo!» A cui seguiva un immancabile: «A mezzanotte qui! Altrimenti vedi!» A cui rispondeva solo lo scalpiccio veloce dei miei piedi sulle scale.. quanti ricordi.. e poi Geraldo.. e Micaela. Me l’aveva fatta grossa Micaela.. mi aveva sfidato a baciarlo anche se io sapevo che le piaceva. Ed io, che sono tuttora un disastro, sognavo il 2000, l’anno dei miei 15 anni come si sogna qualcosa che non c’è. Mi sembrava un’età decisamente ragguardevole e favoleggiavo di cosa avrei fatto, visto che sarei stata “grande”. Ma era il 1999 ed io non ero grande ancora. Volevo raccogliere tutto il mio coraggio, sorprenderlo, stupirlo e poi baciarlo. Mi avvicinai e, maldestra, riuscii solo a tirargli i capelli, vincendo un «Cazzo vuoi? Mi hai fatto male!» Arrossendo ho balbettato una scusa. Geraldo mi ha guardata di sbieco, con un sorriso storto e acido, mi ha baciato lui, travolgendomi. Il mio cuore era la corsa dei tori di Pamplona. poi mi ha detto: «volevi questo? Adesso sparisci bambina!». Rideva. Non ho mai più parlato con lui, nè con Micaela. So però dai rumors che dopo una unione senza gioie nè figli hanno finalmente ottenuto il divorzio. Lei, un avvocato di grido, lui un ingegnere calvo e affermato. E adesso questo messaggio, sul numero di lavoro-stramaledetto sia internet!- con una foto, di me e Micaela abbracciate, sullo sfondo un cespuglio di dread e due occhi verdi enormi: «caffè? O ci vediamo al solito muretto? Gerry.»
Che faccio, ci vado?
Tanto non ho più nulla da perdere, no?