
Notte Senza Fine sarebbe arrivato a Mezzanotte.
L’uomo non smette di frugare, gli spigoli nelle scatole gli graffiano le mani, ogni respiro un pugno nello stomaco. Sposta, solleva, lancia via, ma non riesce a trovarlo. La cantina, smisurata, riempie lo spazio fino al cielo, le stelle nel soffitto si spengono una alla volta. Latte caldo, frutta fresca, plastica.
«Non è questo.»
Lo getta via ringhiando, respira, prova a calmarsi, a ricordare. Forse è il punto sbagliato, sta cercando troppo indietro, deve avanzare. L’armadio oltre le scatole è legno marcio, si trattiene a stento dal crollare appena aperto. Dentro, l’odore è tabacco, acqua salata, birra e sensazioni perse da una vita lo assalgono mentre nelle orecchie il suono di una campana, gesso che stride e l’auto mette in moto con un ruggito.
«Dove sei, DOVE?»
Non è qui, eppure non capisce. Era sicuro fosse questo il posto, non poteva essere ancora più indietro, e se fosse stato più avanti…
Non conclude il pensiero, il Palazzo trema come travolto da una valanga. Barcolla, cerca una presa che non sa trovare e il respiro successivo è di faccia tra le scatole, la tempia che pulsa e nelle orecchie un fischio gelido mentre Lui spalanca la botola.
Notte Senza Fine sorge nel buio a Mezzanotte.
Ombra alta fino alle stelle, nessuna di loro brilla abbastanza da tenerlo lontano. Neanche sente le urla dell’uomo e lui stesso non si accorge di urlare. Può solo guardare mentre il buio inizia a divorare la Soffitta. Dove poggia le zampe il legno brucia, la cenere gli riempie il naso. Dove sfiora con gli artigli le scatole marciscono e l’aria adesso puzza di sogni infranti, desideri irrealizzati, fantasie impossibili.
Ma non basta, non sono sogni infantili né speranze adolescenziali quel che cerca stanotte. E ora che tutto il resto è cenere, l’odore di vaniglia, arancia, nicotina riempie la Soffitta e sia l’uomo che il Mostro si voltano verso l’ultima scatola.
Notte Senza Fine si avventa per secondo.
La Sua ombra divora lo spazio fino alla scatola in un istante, ma l’uomo ci si è già gettato addosso. Spigoli e spine gli affondano nelle mani e nel petto ma non smette di cercare, non importa se il mostro gli è addosso, se il suo puzzo di alcol, medicinali, muco lo stordisce e se i suoi artigli lo trafiggono. Cerca ancora e solo quando le zanne ormai gli sfiorano le tempie la sente. Tra le dita appena un frammento di carta, ma lo sente ed è con un urlo che lo estrae, occhi in lacrime che leggono una lettera alla volta.
«MARTA!»
Il Vecchio si risveglia con un grido. Il cuore nel petto come scariche di lampi, il macchinario al braccio non smette di suonare, ogni bip affonda fin nel cranio. Gli uomini in bianco accorrono al suo letto, ma non smette di gridare. Non smette di ridere. Non smette di versare lacrime sulla foto vecchia oltre mezzo secolo che stringe tra le mani.
«Marta!»
La Notte Senza Fine si è presa un’altra parte di lui. Il Palazzo della Memoria nella sua mente cade a pezzi, il mostro ne fa scempio ogni notte, la Soffitta coi suoi ricordi più vecchi è solo l’ultima di un lungo elenco. Ma una cosa l’ha salvata.
Il nome della ragazza dai capelli scuri che gli sorride dalla foto. Lo stesso sorriso che ha amato fino alla fine, di cui si è innamorato di nuovo dopo che l’Alzheimer gli ha rubato il suo viso.
Il sorriso di Marta.