
Gimmi camminava a testa bassa, spostava con i piedi le lattine e i barattoli rimasti a terra dopo la festa. A un certo punto si chinò per raccogliere dei festoni di plastica traforati, blu, rossi e dorati. Sentì nell’aria un misto di carne grigliata e dolci fritti. Era la prima volta che succedeva. Si sentì un intruso per essersi spinto fino alla porta arcuata che dava sul giardino dei vicini. Eppure era arrivato fino all’attrezzatura del barbecue. La carbonella aveva ancora qualche cenere sotto la brace. Tanto valeva attirare l’attenzione dei vicini, sempre così silenziosi.
Gimmi si sbracciò: − Ehi, c’è qualcuno?
Nessuna risposta.
Gimmi si accorse di stare trascinando i festoni. Li lasciò cadere e si sentì fuori posto.
Da lontano arrivò l’eco di una risata.
Gimmi vide muoversi i cespugli del giardino che nascondeva la casa.
Apparve un gatto alto come lui, in piedi, vestito con camicia, pantaloni, stivali lunghi fino alla coscia e un cappellone piumato dal quale spuntavano le orecchie.
Gimmi tremò.
Il gatto rise: − Andiamo, mi hai chiamato tu. Cosa c’è?
Gimmi deglutì, la bocca del gatto era irta di zanne: − Vedi, ero curioso di vedere cosa succedeva in questo punto della casa. C’è una festa in maschera?
Il gatto replicò: − Per i miei gusti sì. Mi basta guardarti.
− Ma, e gli altri dove sono? – Gimmi glielo aveva chiesto per educazione, ma il rumore di sottofondo che veniva dai cespugli lo terrorizzò: era il verso di avvertimento di una moltitudine di gatti infuriati.
Il gatto lo avvertì: − Fanno sul serio. Io sono venuto ad avvertirti. Stai lontano di qui. Questo non è il tuo mondo.
Gimmi indietreggiò a passi lenti: − Certo, era per saperlo. Conoscevo gli abitanti della casa, una coppia di anziani e mi sono stupito di tutti questi festeggiamenti.
Il gatto annuì, allargò le zampe: − Lo so, i miei fratelli e le mie sorelle li tenevano d’occhio. Ora non ci sono più e siamo arrivati noi.
Gimmi si mise a tremare: − Scusa il disturbo.
I versi fra i cespugli aumentarono d’intensità e Gimmi cominciò a vedere gatti in pantaloni e giacche oppure abbigliati con vesti dalla gonna a campana, e tutti con cappelli dalla piuma. Indietreggiò ancora: − Basta. Non voglio neppure sapere da dove venite.
Il gatto ridacchiò: − Fai bene. Del resto il nostro mondo d’origine è diventato così noioso. E poi non è riportato sulle mappe. Insomma, una terra secondaria.
Gimmi si girò non appena il gatto ebbe finito di parlare e corse via, oltrepassando la porta arcuata senza voltarsi.
Il gatto osservò a voce alta: − Ma guarda tu che vicino strambo.
Una gatta gli si avvicinò: − Non te la prendere, caro. Si sarà spaventato per il disordine.